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    Gli eterni incazzosi da web…molto più che diffusi

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    Il 16 dicembre su “Saturno”, l’inserto culturale de “il Fatto Quotidiano” è stato pubblicato un interessante articolo di Andrea Scanzi intitolato EIW: gli Eterni Incazzosi da Web. Parla dei tanti pronti a sostituire l’insulto e l’attacco con il dibattito aperto. Considerato quanto accade ad opera degli anonimi commentatori su questo e su molti altri spazi aperti ci è sembrato opportuno darne diffusione. Di seguito l’intero testo.

    «Sono tanti e sono arrabbiati. A prescindere. È la nuova razza, in servizio permanente sul web: quella degli eterni incazzati. Gli internauti lividi, pronti a insultare tutto e tutti. Soprattutto chi è – anche solo – appena più noto di loro. Meglio ancora se c’è l’anonimato a proteggerli. La Rete ha tanti pregi e qualche controindicazione. Sfugge a censure e filtri embedded, ma la possibilità del “dibattito aperto” tracima puntualmente nella cagnara. Ora da Bar Sport, ora da curva e suburra. Nessuno può salvarsi. Clemente Mastella, quando era ministro, provò a bloccare il suo sito per tutelarsi. Un disastro: coniarono lo spazio con nomi improbabili (Clemente Pastella, Demente Ma-stella) e gli sfottò aumentarono. Vasco Rossi, tra un clippino e uno strale, si è scagliato contro Nonciclopedia: voleva ridimensionare quel finto spazio enciclopedico, l’ha reso definitivamente celebre.

    Gli Eterni Incazzati hanno però un altro luogo di elezione: il blog altrui. Due settimane fa, su Slate, Katie Roiphe si è chiesta chi siano mai questi provocatori che si sfogano nei commenti. Secondo la Roiphe, si tratta di persone umilissime nella vita di tutti i giorni: gente che fa la spesa, con lavori tranquilli e forse frustranti, che aiuta la vecchietta a salire sul tram e poi, nel buio delle sue stanze o tra una pausa e l’altra al lavoro, esonda davanti al monitor.

    Una doppia vita, la prima grigia e vera, la seconda feroce e virtuale. La versione aggiornata diDoctor Jekyll & Mister Hyde. Ovviamente nessuno di loro pronuncerebbe mai quelle parole se dovesse firmarsi, ma l’anonimato rende palpabile il miraggio del turpiloquio. Della lesa maestà. Dello spregio del vip (o giù di lì). La Rete ha peraltro generato il bizzarro cortocircuito secondo cui, se ricevi un insulto nel tuo blog, o addirittura nella bacheca privata su Facebook, “devi” pubblicarlo. Se ti azzardi a rimuoverlo, passi per censurante. L’accusa, a quel punto, si ripete:«Criticavate tanto Berlusconi, ma poi fate lo stesso».

    Il dubbio che ci sia una differenza sostanziale tra dettare le regole basilari in casa propria (quali in fondo sono un blog o un profilo Fb) e imporre le idiosincrasie personali in tivù (pubbliche) e sui giornali (teoricamente equidistanti), sembra un distinguo pleonastico. Capita così che Beppe Grillo venga attaccato perché filtra i commenti e chiede una pre-iscrizione. E la stampa bipartisan tuonò con Daniele Luttazzi quando nel suo defunto blog non pubblicò (giustamente) commenti di neofascisti e negazionisti. Evidentemente, per assurgere a “paladini della libertà”, devi porgere l’altra guancia e ospitare nella tua dependance virtuale qualsiasi rumenta.

    L’ulteriore paradosso è che, con i loro commenti, i provocatori generano una pressoché infinita catena di commenti. Agitando le acque e aumentando il numero finale dei commenti, che sancisce il successo tangibile di questo o quel post. Quindi: se cancelli, sei censurante e pure stupido. La policy (paroletta di moda tra i webmaster) diventa allora quella del permissivismo smodato. Un esempio è il cliccatissimo sito del Fatto Quotidiano, dove la moderazione c’è, ma è minima. E gli insulti frequentissimi. Ne sa qualcosa Luca Telese, massacrato per giorni e giorni dopo la sostituzione di Luisella Costamagna con quel gran figaccione di Nicola Porro su La 7.

    È possibile stilare un identikit. La politica c’entra poco: sono di sinistra e destra. Idem il sesso: uomini e donne, qui, pari sono. Gli «Eiw» (Eterni Incazzosi da Web) appartengono a precise sottocategorie. La prima è quella del Fan-boy. Spesso giovani, ma non necessariamente, si incarogniscono se osi criticare l’idolo di riferimento: la squadra per cui tifano, il musicista, il gruppo. Se avessi picchiato la loro madre, si sarebbero arrabbiati di meno. La seconda sottocategoria è quella dell’Invidioso. Accusa sempre il proprietario del blog di «scrivere così perché sei invidioso». L’idea che si possa avere delle idee non agiografiche senza per questo tradire rancore è inimmaginabile: persino se critichi Ghedini, «lo fai perché sei invidioso» (pensateci: esiste qualcuno in grado di invidiare Ghedini? No). La terza è il Tipaganopure. Tono del commento tipo: «Per scrivere ‘ ste cazzate ti pagano pure?». Quarta sottocategoria: Duroepuro. Magari di lavoro costruisce mine antiuomo e si prostituisce, ma quando commenta i pareri altrui è sempre più duro e puro. Rinfacciando chissà quali incongruenze politico-morali. Quinta: la Zecca. Ovvero la tipologia di commentatori che segue un autore in ogni cosa che fa, denigrandolo a prescindere, che esso parli di Casa Pound o Maccio Capatonda. Sesta: il Fuorilegge. Vorrebbe essere un Black Bloc, ma ha paura anche della sua ombra. Così, in mancanza di meglio, si accontenta di (non) firmare parole da arresto seduta stante. E se una bomba esplode, lui scrive: «Bene così, peccato che non ne siano morti di più». Settima: il Troll. Interviene unicamente per seminare zizzania (e poi se ne va, per vedere l’effetto che fa). Ottava: Saisolocriticare. Da un articolo di dieci righe, si aspettano analisi esaustive, capaci di spaziare dai presocratici al Kit Kat bianco: se non le trovano, lamentano l’incapacità dell’autore di elaborare teorie propositive valide. Nona: i Noncicapisciniente. Quelli che puntano sulla incompetenza del blogger. Decima: i Nonsochefare. Quelli che stanno in Rete perché non hanno prospettive migliori. E forse odiano i blog altrui perché, puntuali, gli ricordano le troppe pagine bianche nella loro vita».

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