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    Accuse a Bellomo: l’avvocatessa di Cerignola sentita in Procura

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    È stata ascoltata questo pomeriggio in Procura a Bari, come persona informata dei fatti l’avvocatessa 28enne di Cerignola Rosa Calvi nell’ambito dell’indagine per estorsione a carico del consigliere di Stato Francesco Bellomo. L’uomo è accusato di aver imposto ad alcune studentesse che seguivano il suo corso di magistratura un codice di comportamento e un dress code, minigonna e tacchi alti, in cambio di una borsa di studio. «Sono stata contattata da quattro ragazze che hanno avuto un’esperienza simile in altri anni e in altre città. Mi hanno ringraziata dicendomi che adesso hanno anche loro il coraggio perché sanno di non essere sole» ha riferito la 28enne. I fatti raccontati risalirebbero ad un anno fa e sarebbero avvenuti a Roma, dove la ragazza seguiva il corso, dal quale poi sarebbe stata “cacciata” per aver rifiutato le condizioni imposte da Bellomo.

    Un mese dopo l’inizio delle lezioni sarebbe stata scelta fra sette ragazze per ottenere una borsa di studio ma a certe condizioni. «Bellomo aveva individuato sette candidate – racconta Calvi – poi rimanemmo in tre. E fu in quel momento che per la prima volta vidi tutto quello che prevedeva il contratto da borsista». Richieste assurde: dal dress code obbligatorio al divieto di matrimonio, passando per il quoziente intellettivo minimo per i fidanzati. «Ci diede 15 minuti per esaminare il contratto – continua Calvi – e poi scelse me, dandomi appuntamento al giorno dopo per la firma». Si arriva al colloquio. «Mi chiese della mia vita privata – racconta l’avvocato – quanti fidanzati avevo avuto e cosa facevano. E disse che se decidevo di accettare avrei dovuto perdere 5 chili entro marzo. Poi mi guardò in viso: ‘Hai le borse sotto gli occhi, con un paio di punturine risolviamo la situazione’. Subito dopo provò a baciarmi. In un attimo mi sfiorò le labbra e io lo evitai. Rimasi pietrificata. Andai via lasciandolo lì, nella hall dell’albergo». Atteggiamento a cui forse non era abituato, infatti, precisa l’avvocato «non si spiegava perché stessi dicendo di no, perché di solito gli dicevano di sì».

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