Una città e gran parte della provincia schiacciate dal peso delle mafie, dove «il ricorso alle violenza è elevato a sistema perché dispieghi tutte a potenza intimidatoria possibile»; dove «l’imprenditore, il commerciante, spesso non attende la richiesta estorsiva» ma la anticipa versando spontaneamente il pizzo al clan egemone. L’ennesima analisi drammatica della «vertenza sicurezza» in Capitanata porta la firma di Anna Maria Tosto, procuratore generale presso la corte d’appello di Bari che ieri in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario nel capoluogo regionale, ha dedicato buona parte della relazione alle mafie foggiane: «Società» a Foggia, mafia garganica e cerignolana.

IL PESO DELLE MAFIE «In campo penale, nell’anno giudiziario che si è concluso il distretto è stato interessato da una emergenza criminale da più definita giustamente “di rilevanza nazionale”. Mi riferisco» ha detto la Tosto «alla situazione del Foggiano afflitto dalla presenza di organizzazioni delinquenziali. E non si tratta di un fenomeno nuovo, al contrario: da decenni questa criminalità si è strutturata, articolata, ha pervaso il tessuto sociale condizionando pesantemente economia, politica, amministrazione pubblica, vita sociale».

SCIA DI SANGUE Allarme acuito da quanto successo «nell’ultimo anno segnato da efferati omicidi: a San Severo il 24 maggio trucidati in pieno giorno nella loro profumeria Nicola Salvatore e la moglie Isabella Rotondo; il 20 giugno l’esecuzione di Nicola Ferrelli e Antonio Petrella. Una lunga scia di sangue culminata nel quadruplice omicidio del 9 agosto a San Marco in Lamis in cui a cadere sotto il fuoco sono state due vittime innocenti, i fratelli Aurelio e Luigi Luciani» (in realtà tre perché Matteo De Palma fu ammazzato solo perché faceva da autista al cognato Mario Luciano Romito, dell’omonimo clan e obiettivo dei sicari). «Come ripetutamente denunciato dalla Dda di Bari, dagli anni Ottanta ci sono stati circa 300 delitti di sangue ascrivibili al contesto foggiano, l’80% è rimasto irrisolto malgrado l’impegno di magistratura e polizia giudiziaria. Omicidi segnati da una ferocia oltre ogni limite: la mafia del Gargano non si limita a uccidere, alla vittima spara sistematicamente il colpo di grazia alla testa e a breve distanza perché di quella persona sia cancellata l’identità, non resti niente, neppure la memoria. Il ricorso alla violenza e alle armi è elevato a sistema, la violenza è impiegata con modalità esemplari perché dispieghi tutta la potenza intimidatoria possibile».

INDIFFERENTI, ASSERVITI «La condizioni di indifferenza, quando non di asservimento, della società civile denuncia» ha detto il procuratore generale «che questo obiettivo non solo è stato raggiunto ma deve ritenersi consolidato. L’omertà da sempre registrata nel corso delle indagini come nei processi costituisce il corollario ineludibile: a essa fa da contraltare la mancanza di collaboratori di Giustizia, a dimostrazione di legami criminali strettissimi che non ammettono quelle smagliature che persino la mafia siciliana ha subìto».

LE INFILTRAZIONI Il pg ha quindi posto l’accento sul fatto che «le inchieste più recenti hanno ampiamente dimostrato l’infiltrazione della criminalità nei settori trainanti dell’economia foggiana: agricoltura, edilizia e turismo. Svelando anche la penetrazione nella pubblica amministrazione e nei servizi strategici da questa gestiti: raccolta rifiuti e energie alternative. I profitti enormi, generati anche dal contrabbando di prodotti energetici che attribuisce a queste organizzazioni un primato nazionale, ha inevitabilmente attivato un imponente circuito di riciclaggio che a sua volta interessa comparti strategici come quello vinicolo».

DROGA E RACKET Nell’ultimo anno si è anche registrata un’impennata del traffico di stupefacenti (oltre 13 le tonnellate sequestrate in Capitanata nel 2017). I carichi di droga dall’Albania sulle coste foggiano «denunciano il consolidarsi di rapporti transnazionali della criminalità foggiana, il che presuppone l’investimento di ingentissime risorse economiche e la capacità di gestire una complessa rete di distribuzione». Nell’analisi della Tosto spazio anche al racket: «che le organizzazioni criminali abbiano ormai conseguito una infiltrazione capillare nel tessuto sociale ed economico lo dimostra l’evoluzione del fenomeno estorsivo -non solo in termini quantitativi visto che delle 864 iscrizioni per il delitto di estorsione complessivamente registrate nel distretto, ben 426 hanno riguardato la sola Procura di Foggia – ma soprattutto in termini qualitativi. All’estorsione violenta si è costituita quella “ambientale”: l’imprenditore, il commerciante, l’operatore economico spesso non attende la richiesta estorsiva, sa che la possibilità di lavorare, di intrattenere relazioni, la tranquillità sociale e familiare dipende dal gruppo criminale egemone e a quel gruppo versa spontaneamente il pizzo. È la tassa di sovranità che si paga a chi regola i rapporti in luogo dello Stato».

LA RISPOSTA DELLO STATO Uno Stato «che a fronte della drammaticità della situazione ha elevato il livello degli interventi: da alcuni mesi» ha ricordato la Tosto «sono state incrementate le risorse destinate al controllo del territorio, sono nati nuclei specializzati: carabinieri, poliziotti e finanzieri hanno conseguito importantissimi risultati, frutto di abnegazione e professionalità altissima. Questi primi risultati costituiranno le premesse di una risposta giudiziaria ancor più stringente di quella fino a oggi scaturita dalle indagini portate avanti da anni da Procura di Foggia e Dda che operano in un rapporto di stretta collaborazione e sinergia». Sul fronte delle risposte dello Stato, il procuratore generale ha posto l’accento sull’attenzione rivolta al «caso Foggia» dal Consiglio superiore della magistratura (una delegazione venne a Foggia in settembre per incontrare magistrati e forze dell’ordine).

LA SOCIETÀ SI SVEGLI Ma la lotta alla mafia non si può delegare solo a giudici e forze dell’ordine. «Qualsiasi iniziativa» investigativo-giudiziaria «sortirà un effetto solo parziale se non sarà accompagnata dal risveglio della coscienza civile. È stato osservato che “in taluni contesti del Foggiano il radicamento socio-culturale del sistema mafioso è così forte da produrre una generalizzata e assoluta omertà che, talvolta, trasmoda nella connivenza se non addirittura nel consenso”. Ebbene è questo atteggiamento di assuefazione che occorre scardinare» l’esortazione della Tosto «attraverso azioni che impegnino tutte le componenti sociali, a cominciare dalla magistratura che dovrà superare le crisi di vocazioni per quel territorio e l’inconsueta indifferenza manifestata persino alla recenti iniziative di sensibilizzazione adottate dalla giunta locale dell’associazione nazionale magistrati: azioni che sollecitino un rinnovato clima di fiducia nello Stato, che alimentino il senso dell’appartenenza alla comunità delle regole e della legalità. La risposta giudiziaria contribuirà a tale rifondazione solo se riuscirà a essere tempestiva, certa ed equa».

GHETTI E LAVORO NERO Ma c’è anche «un ulteriore aspetto di illegalità che affligge il Foggiano: quello è il territorio» ha ricordato il procuratore generale «nel quale il lavoro stagionale in agricoltura ha richiamato e richiama masse di migranti, la maggior parte irregolari, emarginati in veri e propri ghetti, in condizioni di degrado abitativo e sociale: braccia per il lavoro nero e fonte di guadagno per la criminalità organizzata che anche in questo modo inquina il sistema economico, controlla il territorio, si fa Stato».

La Gazzetta del Mezzogiorno