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    “L’urlo”, di Nunzio Di Giulio. Un racconto per sensibilizzare i giovani alla guida sicura

    Dopo la tragedia di Aurora e Agostino, un ulteriore momento di riflessione grazie a un racconto toccante anche se con un epilogo differente

    Pubblicato il

    E’ ancora indelebile nella memoria e negli occhi di Cerignola la tragedia che la notte tra sabato 12 e domenica 13 gennaio ha scosso un’intera comunità, con l’incidente che ha portato alla morte dei giovanissimi Aurora Traversi e Agostino Antonacci. Tanti i momenti di riflessione, durante i funerali e per il pomeriggio di preghiera presso il Palazzetto dello Sport, fortemente voluto da Mons. Luigi Renna. Oggi, lanotiziaweb.it, propone un racconto scritto diverso tempo fa da Nunzio Di Giulio, Commendatore della Santa sede di San Silvestro Papa, già Primo Cittadino Onorario di Cerignola ed Ispettore Capo della Digos in quiescenza, col quale mantenere alta l’attenzione sul tema sicurezza stradale. Una storia con un epilogo differente rispetto alla tragica vicenda di pochi giorni fa, ma che narra la realtà e gli stati d’animo che colpiscono le famiglie interessate da eventi simili. Un ulteriore momento di riflessione per non abbassare mai l’attenzione verso la guida sicura, e per sensibilizzare maggiormente i più giovani.

    “L’URLO”

    di Nunzio Di Giulio

    Il Natale era trascorso tranquillo. La famiglia, i parenti il pranzo e tutto il resto. Mimmo era soddisfatto. Non gli mancava nulla. Due genitori adorabili, un fratello maggiore col quale filava in perfetto accordo, abiti firmati, amici carissimi, e tutto quello che un ragazzo della sua età poteva desiderare. Certo non aveva ancora una macchina tutta sua, ma all’occorrenza suo fratello non gliela la negava. Come quella fatidica sera il Natale di cui stiamo appunto per parlare. Gli piaceva quella Dedra blu e quella sera ancora di più…gli sembrava facesse pendant col cappotto e sciarpa grigi e con pantaloni di velluto nero che aveva appena indossati per uscire. Programmi particolari non ce n’erano, ma si sarebbe deciso poi, come al solito. Lì in piazza, presso il palazzo del Vescovo, con gli amici di sempre..un programmino per chiudere in bellezza il Natale non avrebbe tardato a venir fuori. Gli piaceva guidare, pensò mentre metteva in moto aggiustandosi un attimino la sciarpa grigia griffata. Gli piaceva la macchina di suo fratello…”me ne farò anch’io una così! Forse meglio!…certo quando avrò un lavoro!…magari più in là…prima il diploma!”. Il rombo del motore lo richiamò alla realtà. La macchina scattò docile e silenziosa verso il centro. Trovare un parcheggio nei pressi fu un po’ faticoso…qualche giro a vuoto, ma alla fine la cosa fu risolta. Gli amici erano già tutti lì. Strette di mano, scambi di auguri, pacche sulle spalle, battute un po’ salaci…si scherzò e si rise come da copione. Mimmo teneva banco perché di carattere gioviale ed allegro e gli amici lo tenevano in grande considerazione per questo. Intanto tra una battuta e l’altra, una risata e uno scherzo la serata sembrò volare, tanto che qualcuno disse “Ah ragà…sono quasi l’una e mezza!…che si fa?…non è che chiudiamo così la serata di Natale?”.
    Un coro di no fu la risposta. “E” allora che facciamo?”. “Loconia…perché non andiamo a Loconia?” suggerì Mimmo. “E a un tiro di schioppo!…e poi li ci dovrebbe essere il resto della combriccola…lì nel casolare di campagna che sappiamo…lì ci sono sicuramente gli altri che festeggiano…perché non ci aggreghiamo?”. Detto…fatto!…Sabino e Marco non avevano nulla in contrario. Anzi! Scherzare e passare il resto della serata con tutta la compagnia non era affatto un’idea da scartare. Il viaggio fu molto breve; del resto la strada era ben nota anche se un po’ stretta e con curve piuttosto impegnative; in breve furono sul posto. Il casolare si stagliò netto sotto la luna; le luci erano tutte accese, segno che la festa era in pieno svolgimento. Il tempo di parcheggiare e furono dentro tutti e tre. Le solite pacche sulle spalle, saluti qualche battutina prammatica e presto i nuovi arrivati s’integrano perfettamente col resto della comitiva. Si decise infine, una partitina a carte e la serata si avviò tranquillamente al suo epilogo. Qualcuno, infatti, poco più tardi, guardando l’orologio disse: ragazzi sono le due passate…che dite se rientriamo? I soliti tiratardi non erano molto d’accordo, ma pian piano la comitiva cominciò a disgregarsi; i saluti di commiato furono piuttosto sbrigativi e dopo pochi minuti Mimmo, Marco e Sabino erano di nuovo in macchina per rincasare. La notte era abbastanza chiara, la visibilità normale e la macchina scivolava silenziosa, obbediente ai comandi. “E’ un piacere guidarla!” pensò Mimmo…”mi piace proprio questa Lancia Dedra”; accelerò leggermente come per saggiarla ancora e contemporaneamente sbirciò nello specchietto posteriore…Marco era appisolato…sorrise e stava per dirlo a Sabino quando volgendosi verso di lui si accorse che anch’egli era caduto nelle braccia di Morfeo. Mimmo sorrise di nuovo e chiese un altro piccolo scatto alla macchina. “Accidenti”, si disse sono crollati! Eppure non è molto tardi!…Una rapida occhiata all’orologio della macchina glielo confermò…mancava poco alle 2 e 30, fra non molto sarebbero stati tutti a letto. Fu allora?…certo non poteva essere altrimenti anche se non ricordava nulla?…nella sua mente a tutt’oggi è buio pesto. Cos’era accaduto? Com’era successo? Una curva?…Si! Non c’era altra spiegazione possibile!

    Quella stramaledetta curva a gomito che aveva abbordato bene all’andata ora l’aveva tradito. Ricordava solo che la macchina aveva preso a girare come una trottola su se stessa impennandosi come un cavallo imbizzarrito e capovolgendosi ripetutamente…poi più nulla. Solo la luna ora era l’unica spettatrice indifferente! La scena era raccapricciante: la macchina distrutta e tre corpi esamini e sanguinanti, due sull’asfalto e l’altro un po’ più lontano, presso un albero d’olivo mancato per un soffio. E mancato anche di pochissimo il torrente Locone…se ci fossero finiti dentro…bè meglio così. Ora il silenzio era irreale! Il gorgoglio dell’acqua appena percettibile, il tempo sembrava essersi fermato, i corpi dei tre ragazzi quasi fantocci senza vita erano lì, sul confine tra la vita e la morte e la mano invisibile del fato li avrebbe certo ghermiti se il resto della combriccola non avesse, a sua volta, deciso di rincasare. La notte si animò improvvisamente di voci concitate, qualcuno piangeva, altri chiamarono i soccorsi si avvicinarono ai corpi che giacevano a terra insanguinati. Tutto si svolse come un sogno: le sirene delle ambulanze, le barelle, i fari che sciabolavano il buio, il corteo di macchine che si avviò a velocità sostenuta verso l’ospedale di Canosa. L’urlo delle sirene lacerò il silenzio della notte, l’ospedale era già in allarme e pronto ad accogliere i feriti. Intanto il Maresciallo dei Carabinieri intervenuto sul posto raccoglie l’orologio malridotto di Mimmo le cui lancette erano ferme sule 2 e 30, ora presumibile dell’incidente. Qualcuno si premurò di avvertire il fratello maggiore di Mimmo sul telefonino, ma a casa di Mimmo, tutto è ancora tranquillo! I genitori dormono ignari, quando all’improvviso, il telefono comincia a squillare. Una due, tre volte e poi ancora una quarta finchè una voce maschile sorpresa assonnata non fa in tempo ad articolare una risposta perché dall’altro capo del telefono si sente dire: “Signor Rossi…qui è il Commissariato di Polizia…si porti immediatamente all’ospedale perché suo figlio ha avuto un grave incidente!”. “Quale?” articolò a fatica il padre..”Il minore” gli fece eco una voce dall’altra parte del filo. Il padre si senti mancare e alla moglie, svegliatasi di soprassalto, come lui, nel cuore della notte non seppe e non potè nemmeno sminuire la gravità del fatto. Fu allora che in tutta la casa sembrò percorsa da un urlo sovrumano, lacerante, disperato, che superò il perimetro dei muri e ferì il silenzio della notte squarciandolo con la sua dirompente carica di dolore. Un urlo cui eco, dopo tanto tempo, pare tuttora di sentire, come se il dolore e la disperazione di una madre si sia confitto per sempre nell’intima fibra dei muri della casa per testimoniare tutto il dramma di una famiglia e la sofferenza di una madre colpita negli affetti più cari. Si! A volte pare che la casa ne risuoni ancora!
    “Devo chiamare Francesco!…devo chiamarlo!… diceva fra sé barcollando il padre compose meccanicamente il numero del telefonino del figlio maggiore…la risposta non si fece attendere. “Si!…si…papà…purtroppo sì! Vieni!…vieni…a prendermi…fa presto!”. “Volo!”. Il padre riattaccò e prese a vestirsi come un automa, guardando con aria quasi assente la moglie che continuava a gemere e a disperarsi. Di li a poco scese in strada. Era come intontito, quasi non perfettamente conscio di quanto stava avvenendo. Forse stava solo sognando. La sagoma famigliare della macchina di Francesco gli scivolò di fianco con uno stridio di freni e ripartì senza quasi fermarsi. Il tragitto fu breve, ma sembrò durare un’eternità, come interminabile gli sembrò la sequela di frasi sconnesse e sconclusionate che indirizzò alla volta di suo figlio Francesco…o almeno alla volta di colui che tale pensava fosse. Ma se Francesco era lì ad attenderlo davanti all’ospedale con chi aveva parlato durante il tragitto?…non lo seppe mai! L’ospedale!…la ressa degli amici di Mimmo…la Polizia…i medici, gli infermieri…tutto si sommava, si accavallava, gli girava intorno si sentì mancare…qualcuno lo sostenne e lo guidò nella sala del Pronto Soccorso dove, come un incubo, vide i tre giovani insanguinati ancora sulle lettighe, nudi…ne udiva i gemiti e le urla di Mimmo…di Mimmo che aveva il bacino fratturato e si teneva stretta attorno al collo con tutte le sue forze la sciarpa di velluto grigio…la teneva così stretta che nessuno riusciva a fargli allentare la presa. In un barlume di lucidità la mano di un padre distrutto dal dolore sciolse, con carezza, quella stretta invincibile. Mimmo come rassicurato, scoppiò in un pianto liberatorio e di tanto in tanto continuava a dire: “la macchina!…papà…la macchina! Ho distrutto la macchina di Francesco…la macchina…la macchina…”. Mamma Maria non tardò molto a sopraggiungere e a confortare il dolore e reprimendo le lacrime che le salivano prepotentemente agli occhi. Mimmo tranquillizzato e rassicurato sembra assopirsi. Alle 7.30 un Maresciallo dei Carabinieri recapita al padre l’orologio rotto di Mimmo: le 2.30…nessuno in famiglia, potrà mai dimenticare quell’ora.
    Fortunatamente il quadro sanitario dei tre giovani è meno preoccupante di quanto a prima vista non sembrasse. Mimmo viene ingessato e curato magistralmente. La sua giovane età e le sue incredibili capacità di recupero fanno il resto; infatti appena 18 giorni dopo aver messo il gesso, Mimmo se ne libera autonomamente e dagli accertamenti che seguono risulta perfettamente guarito. Ha bisogno solo di una lunga riabilitazione. Tutto sommato se l’è cavata con poco. Mimmo è fuori di sé dalla gioia! Non gli par vero di poter così presto tornare in Piazza fra gli amici…di tornare a scherzare e a ridere con loro anche se, provvisoriamente, deve sostenersi con le stampelle. No! Non si può aspettare!..rivedere gli amici è un imperativo categorico! E’ deciso! Sì…con gli stessi abiti di quella fatidica sera!…Lo stesso cappotto grigio e gli stessi pantaloni di velluto rimessi a nuovo…come se nulla fosse successo”. E con la stessa sciarpa!. “Lo stesso di prima!…così com’ero prima di quel maledetto incidente!…sono ancora io! Continuava a ripetersi mentre ranchettava sulle stampelle…” e anche a scuola…certo anche a scuola! come prima…sì..ma con più giudizio…più maturo!…torno a vivere, torno alla vita…ma da uomo!”.

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