Il 20 luglio è una data da cerchiare in rosso sul calendario per i cerignolani. Domani, i giudici del TAR del Lazio saranno chiamati a decidere sul ricorso promosso dall’ex sindaco Franco Metta contro il provvedimento del Ministro dell’Interno, che nell’ottobre del 2019 ha decretato lo scioglimento per infiltrazioni mafiose del Comune di Cerignola. I giudicanti del tribunale romano, gli unici che per legge possono esaminare questo genere di ricorsi, dovranno verificare in primis che il ricorso non sia inammissibile o manifestamente infondato. Se così fosse rigetteranno il ricorso stesso con sentenza. Qualora non sussistano questi generi di ostacoli, i giudici amministrativi procederanno nell’analisi del petitum. In quest’ambito il TAR Lazio gode di una giurisdizione di legittimità, ciò significa che il giudice amministrativo non entrerà nel merito delle decisioni prese dall’amministrazione coinvolta, ma si limiterà a valutare che l’apparato istruttorio presentato dalla Commissione di accesso e valutato da Prefetto e Ministero sia idoneo, sufficiente, non contraddittorio, che i fatti posti a fondamento della decisione ministeriale siano veritieri e che il provvedimento sia giustificato da una motivazione logica, coerente e ragionevole. Insomma, bisognerà valutare nuovamente se sussistono quei «concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori» richiesti dall’art.143 del TUEL per poter procedere allo scioglimento dell’ente e che in prima battuta lo Stato ha ritenuto esistenti. A tal fine, il giudice solitamente ordina che venga depositata, oltre alla relazione ministeriale che accompagna il provvedimento di scioglimento, la documentazione posta alla base di questa, come la relazione della Commissione di accesso, il verbale delle sedute del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza e delle riunioni dei vertici delle Forze dell’ordine.
Come esito di questo controllo, il giudice potrà confermare il provvedimento ministeriale di scioglimento e commissariamento dell’ente, che in tal caso proseguirà il suo iter naturale di 18 o 24 mesi, o annullare il provvedimento. Tralasciando gli aspetti meramente formali, un provvedimento viene annullato quando è affetto da eccesso di potere, un vizio che coinvolge il contenuto del provvedimento stesso. Sintomi di questo vizio sono, ad esempio, l’illogicità della motivazione – e cioè quando l’esposizione dei motivi di fatto o di diritto è sconnessa dalla realtà accertata -, la disparità di trattamento rispetto ad altri casi simili o il travisamento dei fatti. Sarà su questi punti che la difesa di Metta si giocherà le sue carte, provando a dimostrare che le irregolarità e i condizionamenti rilevati dalla Commissione di accesso non sono tali e che, dal complesso delle indagini svolte, non risulta un quadro di infiltrazioni mafiose nell’ente.