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    “Avvocato di strada”: si parte con “Schiavi” di Stefano Mencherini

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    «“Schiavi” ci mostra molte cose importanti (…)”Schiavi” ci svela il pezzo di storia che manca». Così Cecile Kyenge, Ministro dell’Integrazione, il 20 dicembre scorso, definiva sulle colonne de l’Unità il nuovo film-documentario di Stefano Mencherini, giornalista indipendente, autore e regista Rai, considerato “scomodo” per le sue inchieste “roventi” che non risparmiano nessuno, nemmeno la Curia e gli alti apparati dello Stato. “Schiavi” è stato proiettato, la scorsa sera, anche a Cerignola, alla presenza del regista, in occasione dell’inaugurazione, nella prima città non capoluogo di provincia, dello sportello “Avvocato di Strada”, l’associazione che promuove l’attività di assistenza legale gratuita alle persone senza fissa dimora. Ad ospitare l’appuntamento, il primo della due giorni “Diritti senza confini” promossa dalla nascente associazione, in collaborazione con Oltre Babele e il Presidio cittadino di Libera, la Parrocchia di San Domenico che, con il suo pastore Don Pasquale Cotugno, è sempre pronta ad ascoltare il “grido degli ultimi” e che, da oggi, accoglierà il nuovo sportello legale pensato ed offerto dagli avvocati Stefano Campese, Massimo Granato, Nicola Famiglietti, Gabriele Romagnuolo e dai dott. Antonio Caringella e Gaetano Panunzio. Dieci anni di racconti seguendo le storie dei migranti, due film-inchiesta, la storia di un Paese che non piange dopo la vergogna dei naufragi. Dalla prima lucida denuncia, in “Mare Nostrum” (2003), delle condizioni del Centro di permanenza temporanea “Regina Pacis” di San Foca, gestito dalla curia salentina e diretto da don Cesare Lodeserto, (“Oggi in Moldavia a combinare altri guai”- commenta l’autore), Stefano Mencherini, prosegue il suo viaggio nel mondo dei migranti in “Schiavi. Le rotte di nuove forme di sfruttamento”.

    La gestione truffaldina dell’emergenza immigrazione. La disperazione e la rabbia dei migranti. La distanza dell’Unione europea. Imprenditori e caporali alla sbarra con un processo (in corso a Lecce), unico in Europa, per riduzione in schiavitù. Un Paese tra apartheid e solidarietà. Il film-inchiesta, realizzato nel corso degli ultimi tre anni e prodotto da Flai Cgil e da Less onlus (Napoli), con il patrocinio del Ministero per l’Integrazione, denuncia lo sperpero di denari pubblici (circa 1 milione e 300 mila euro) e l´indiscriminato calpestio di diritti umani e civili avvenuto attraverso Ena (Emergenza Nord Africa) e la cattiva gestione dell’emergenza affidata alla Protezione Civile come se l’immigrazione sia un disastro ambientale. «Dal ghetto di Foggia a Rosarno in Calabria, passando per la Campania e poi fino nel Nord Italia ho documentato con testimonianze esclusive e molto forti come uomini, donne e minori dopo essere sbarcati finiscono nella rete dei nuovi schiavismi nel tentativo di trovare un lavoro», racconta il regista Stefano Mencherini. Una denuncia, la sua che incontra molte difficoltà. Nessuna distribuzione e nessuna TV che l’abbia mai messo in onda, neppure la Rai dove Mencherini lavora da 23 anni. Perché? “Perché la Rai del servizio pubblico, in realtà, si è omologata al sistema della disinformazione. Un elettrodomestico quadrato che ci bombarda di informazioni preconfezionate e non trasmette un prodotto di documentarismo d’inchiesta come questo- spiega Mencherini a lanotiziaweb.it- Ho chiesto a tutti in Viale Mazzini. Dalla Presidente, al Direttore Generale, ai cadetti delle varie emittenti. Nulla. La Tv di Stato per cui lavoro da quasi 23 anni non vuole trasmettere “Schiavi”. E anziché accettare che un film-documentario di un’ora e mezza venga compresso in 10 minuti trasmessi dal Marrazzo o dal conduttorino di turno, preferisco girare l’Italia con il mio banchetto di dvd. Intanto domani su Radio 1 (Rai), parleranno di “Schiavi” alle 6.30 nel programma “Area di Servizio”. Alle 6,30. Rendiamola più abitabile questa area di servizio”.

     

    “La nostra convinzione -dichiara l’Avvocato di Strada Stefano Campese- è che bisogna vincere l’idea che “la coperta sia troppo corta. O noi o loro”. Oggi siamo tutti uguali. Tutti schiavi sulla stessa barca, o peggio, sullo stesso barcone. Schiavi sul lavoro, schiavi della precarietà, schiavi della famiglia di cui un giovane ha bisogno ancora a 30 anni, schiavi di un mutuo che non si riesce ad estinguere. Sapete perché è troppo corta la coperta? Perché la tela non la tessiamo tutti. Qualcuno si e qualcuno no. Don Pasquale la tesse, suor Paola pure, gli altri volontari. Oggi ago e filo ci è stato passato pure a noi avvocati. Da oggi pure noi ci prendiamo in carico il nostro pezzo di coperta. Lo facciamo con quello che sappiamo fare: studiando le leggi, aiutando a capirle, combattendo i pregiudizi e giocandoceli in giudizio, facendo processi e cercando di vincerli, facendo gli avvocati. Ecco la mia speranza: la tela va ancora tessuta, e se lo facciamo tutti assieme, la coperta diventerà ancora più lunga e più calda di quella che avremmo ottenuto da soli e nessuno potrà più trovare scuse nel dire che la coperta è troppo corta”.

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