Esiste una crisi sociale, o meglio socioculturale, nei macro come nei micro contesti. Vive del menefreghismo altrui e si fregia dell’incapacità di noi tutti di far fronte alle problematiche che sorgono nella gestione della cosa pubblica. Inutile, e spesso superfluo, soffermarsi su questo e quel tema, quasi ci fosse un grado d’importanza da rispettare. Il mondo moderno, o postmoderno come lo definiscono i sociologi, non è altro che il frutto di una semina condotta da chi agricoltore non è. Accade, perciò, che sempre più oggi la gestione del problema pubblico, in qualsiasi settore, sia affidata a improvvisati e inopportuni individui, che nulla hanno a che vedere con quanto trattato. Succede che l’uomo, il cittadino, affidi sempre più il suo futuro a pseudo conoscitori, improvvisati moralisti, giovincelli scappati con la coda tra le gambe per poi tornare, dopo anni di giustissimo anonimato, come vincitori di chissà quale battaglia, conoscitori di chissà quale verità da tramandare e affermare, membri informi guidati da chissà quale strana voglia di rivalsa personale. Probabilmente è il caso di interrogarci su cos’è la nostra vita se non impegno. Impegno e non affiliazione. Impegno e non servilismo. Impegno e non parole. Bene, a tutte queste persone, e a noi tutti cittadini di questo mondo, potrebbero tornare utili le parole del grande sociologo, Z. Bauman, tratte da l’arte della vita: «Nel nostro mondo liquido-moderno, siamo felici finché non perdiamo la speranza di essere felici in futuro. Ma la speranza può rimanere viva solo a condizione di avere davanti a sé una serie di nuove occasioni e nuovi inizi in rapida successione, la prospettiva di una catena infinita di partenze. Dobbiamo porci sfide difficili; dobbiamo scegliere obiettivi che siano ben oltre la nostra portata. Dobbiamo tentare l’impossibile. E’ una vita emozionante e logorante: emozionante per chi ama le avventure, logorante per chi è debole di cuore».