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    Storie di cerignolani per strada. Dall’emergenza abitativa alla vera povertà

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    Sergio, Francesca, Ripalta. Oggi Cerignola ha il loro volto, il loro nome, la loro disperazione. Storie di povertà, di ‘dignità sotto sfratto’, le loro. Storie di una ordinarietà ormai disarmante, di quelle che fanno chiudere lo stomaco e stringere i denti per la rabbia. Storie che si ha il dovere di raccontare, di far uscire da quelle tenebre di silenzi, ipocrisie e connivenze di chi sa ma finge di non sapere, di chi vede ma preferisce girare la testa dall’altra parte. «U’ sazj non crod a u’ dscjn» – urla Ripalta con tutta la forza e la verità di un vecchio detto popolare. Anche lei, insieme agli amici di sventura, Sergio e Francesca, ieri sera, sotto una pioggia incessante, ha marciato verso Palazzo di Città per far sentire le proprie ragioni alle locali istituzioni.

    Sergio, 29 anni, e sua moglie Francesca, 28, hanno due bambini di quattro e tre anni, ed un terzo in arrivo, ma tra poco rischiano di finire “in mezzo alla strada”. Da quasi quattro mesi, non pagano l’affitto di casa perché Sergio, dal maggio scorso, ha perso il lavoro da manovale in ferrovia per una ditta subappaltatrice, e con i circa 700 euro mensili di indennità di disoccupazione, e l’aumento a 380 euro dell’affitto, a fine mese non ci arrivano. «Anche lo scorso anno – racconta il giovane papà – per qualche mese non abbiamo potuto pagare l’affitto, ma sono riuscito a saldare per intero le mensilità arretrate. Questa volta, però, sono davvero disperato. Ovunque vada, non c’è lavoro. Persino per raccogliere l’uva mi hanno detto di ‘no’, perché c’erano già squadre di extra-comunitari pronte a lavorare per una paga di 20-25 euro al giorno. Sono un bravo muratore, so fare tutti i mestieri. Sono pronto a fare qualsiasi cosa per dare un tetto alla mia famiglia», promette Sergio. Ma i proprietari di casa, non vogliono sentire ragioni. La crisi economica sta stringendo in una morsa anche loro e di quei soldi hanno bisogno. Ieri l’ultimatum: o pagate o vi sbattiamo fuori. E i giovani coniugi hanno già impacchettato le prime cose in macchina.

    La stessa sorte toccherà presto anche a Ripalta e alla sua famiglia. “Tina”, come la chiamano gli amici, ha 38 anni ma ne dimostra di più. Le fatiche e le miserie della vita le hanno segnato profondamente anche il corpo. Il marito, ex muratore, è disoccupato e da ormai due anni vive di lavoretti saltuari, ma non guadagna quanto basta a pagare l’affitto di casa e le bollette. I due, insieme alle figlie di 16 e 12 anni, da quasi 13, vivono in un locale a pian terreno di appena 50 mq, al freddo e nell’umidità. Un cucinino, una camera da letto e un bagno, mentre uno stanzino senza finestre di 15 mq, con due letti a castello, è la cameretta delle due ragazzine. «La casa è piccola e in cattivo stato – racconta a lanotiziaweb.it Ripalta -. Per l’umidità mi è venuta anche una piccola bronchite. Le mie figlie hanno dolori alle ossa e ora che si avvicina l’inverno non potrò nemmeno accendere i riscaldamenti, perché le bollette del condizionatore costano troppo». Nonostante i disagi e le mille difficoltà, Ripalta e suo marito sono sempre riusciti a pagare l’affitto e a rendere la loro umile casa un posto confortevole e dignitoso. Ma da qualche tempo sono al collasso. «Da 4 mesi, con l’aumento da 180 a 200 euro, non possiamo pagare l’affitto e, se non bastasse, da tre mesi ci hanno staccato la corrente. Le mie figlie si vergognano di me e vogliono lasciarmi per andare a vivere con i nonni. Non riesco più nemmeno a fare la spesa, a preparare un pranzo completo», confessa timidamente. E lo fa con pudore, quasi con vergogna, ma per le sue figlie è pronta anche ad umiliarsi. «Oggi ho comprato tre euro di mozzarella – racconta -. Ho finto di non avere più fame pur di far mangiare loro anche un secondo. Mi si sono rotte le ultime paia di scarpe e ho dovuto comprarne delle altre, a 2 euro, al mercatino delle ’pezze americane’. Non posso comprare nemmeno i libri di testo a mia figlia. Il Preside ha detto che non ci sono fondi e la bambina studia grazie a qualche amica». Intanto, la salute di questa giovane donna è sempre più precaria. Da tempo, soffre di pressione alta e di una forte anemia e le forze per lavorare le vengono sempre meno. Già, perché Ripalta pur di portare avanti la sua famiglia lavora ad ore come ‘donna delle pulizie’. Guadagna 37,5 euro al mese per un’ora di lavoro al giorno in casa di un’anziana signora. Il resto lo racimola spaccandosi la schiena a furia di lavare le scalinate dei condomini. «Ho cercato un posto di lavoro ovunque, in tutti i magazzini di conserve alimentari di tutta la zona industriale – aggiunge – ma niente di niente. Ogni volta la risposta è sempre la stessa: ci sono già tante romene che lavorano nove-dieci ore al giorno per una paga bassissima». E intanto, mentre il lavoro non si trova e le bollette si accumulano, la proprietaria di casa minaccia di sbatterli fuori e nessuno li aiuta. «Solo una vicina – spiega Ripalta – mi dà una mano. Non posso contare su nessun altro. Mia madre è malata di tumore e non percepisce nessuna pensione d’invalidità, mio padre è disoccupato e mio fratello è in carcere. Ho pensato addirittura di scrivere a Barbara D’Urso e di vendere un rene». Questo l’annuncio shock della donna.

    Intanto, anche il Fondo Nazionale per il sostegno dell’affitto, istituito dall’art. 11 della Legge n. 431/98, si sta prosciugando. Il Fondo è alimentato ogni anno dallo Stato e integrato dalla Regione che provvede anche a distribuire il totale dei finanziamenti tra i Comuni in base a criteri fissati dalla Giunta. Al fondo nazionale e a quello regionale, però, andrebbero aggiunte le risorse stanziate dalle singole Amministrazioni Comunali e che potrebbero così beneficiare di un fondo di premialità. Ma conosciamo bene la situazione finanziaria di