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    Cacciatori di teste 2.0

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    Ricercare il candidato perfetto per un posto di lavoro è, spesso, per le aziende, impresa ardua. Lo è specialmente in periodo di crisi economica quando assumere la persona giusta può rivelarsi di fondamentale importanza per gli equilibri di bilancio. E’ anche per questo motivo che sempre più imprenditori si rivolgono ad intermediari qualificati che possano selezionare per loro conto il personale adeguato. Una volta decidere o non decidere di assumere qualcuno era una questione di curriculum, di impressioni da colloquio. Oggi trovare un posto di lavoro è una conquista che corre su due tipi di certificazione: quella che risulta dagli incartamenti e quella che si evince dai pubblici profili sui social network. Così per capire se si ha a che fare con la persona idonea a ricoprire un certo incarico si procede ad incroci di dati, fra cartaceo e web. La ricostruzione delle personalità degli aspiranti lavoratori è affidata all’intersecarsi di questi due generi di referenze, come in un Sudoku. Si spiano i profili Twitter, Linkedin e l’immancabile piattaforma di Facebook. Questa pratica, di rivendicata paternità anglosassone, si è diffusa in Italia solo quest’anno ed è stata definita in madrepatria ‘Social media recruting” (reclutamento a mezzo social e media).

    Nello stivale della stessa locuzione non si è data una traduzione letterale. “Caccia all’errore”, è stata, infatti, ribattezzata. Un’etichetta, questa, forse non troppo generosa, ma che rende, comunque, l’idea. Affidandosi alle notizie pubblicate sulle pagine internet è agevole procedere a molte verifiche una volta precluse. E’ facile, infatti, che quanto appaia sui profili Facebook, Twitter e affini, possa non coincidere con le dichiarazioni rilasciate a colloquio. E quando il virtuale dice il contrario di quanto affermato dagli stessi titolari dei profili web, a chi credere? Fino a che punto ci si può fidare di quanto raccontano i social? Fabio Ciarapica di Praxi ha spiegato, al proposito, come oggi sia diventato da una parte certamente più facile acquisire materiale sui concorrenti. E ciò grazie alla sovraesposizione mediatica di cui, quasi ognuno di noi, è ormai parte quando non vittima. Contemporaneamente, però, è diventato più difficile appurare la veridicità di quanto annunciato a mezzo media sulle info di account, profili e quant’altro. Chi garantisce l’attendibilità di quelle informazioni? Nessuno, purtroppo. Tuttavia, nonostante questo dubbio irrisolto, le aziende continuano a ritenere utile che si tengano confronti di questo tipo, se non altro per acclarare corrispondenze annunciate che non si vorrebbe fossero, nella realtà, tradite.

    E così, operando i dovuti distinguo, e procedendo con un’impostazione che si spera rimanga sempre improntata al ‘politicaly correct’, sembra che, sempre di più, il futuro delle nostre assunzioni sarà deciso dalle aziende guardando a quello che diremo, o si dirà di noi, su internet. E la privacy? Ai candidati è garantito il diritto di sapere che sul loro conto si stiano conducendo indagini di questo tipo. Tale diritto sarà, presumibilmente, garantito anche in futuro. E non si tema il peggio perché anche qualora le aziende omettessero di adempiere ad un simile obbligo di informazione, difficilmente potrebbero perdere di vista che personale e professionale possono essere sì integrati, ma non devono essere mai totalmente confusi.

    3 COMMENTS

    1. Sig. Desantis, le dico una cosa da funzionario quadro di una grande multinazionale emiliana: oggi conta solo il passaparola di numerosi (e molte volte inutili) consulenti
      che lavorano in diverse aziende e suggeriscono dei nominativi. Oppure le banche, i sindacati, e altri direttori “suggeriscono” alcuni nomi. In ultimo, si ricorre alle società di selezione, che si fanno pagare profumatamente. tutto qua.
      P.S.L’utilizzo dei social network è molto più alto da parte di chi cerca lavoro o si vuole proporre come probabile fornitore. Molto più raramente viene usato per contattare probabili candidati.

    2. L’opinione dell’articolista può essere condivisibile, se la si rende complementare ad una valutazione d’insieme del “candidato”, in quanto sui profili personali pubblicati sui social network, è facile per gli addetti ai lavori, rilevare alcuni aspetti caratteriali e culturali che aiutano a definire per sommi capi le soggettività in esame, almeno per mentalità.
      I social risultano altresì utili al reclutamento, anche perché svelano le modalità di esposizione delle proprie idee, cosa che spesso risulta di valutazione affrettata con l’uso esclusivo di semplici colloqui di lavoro. In definitiva mi ritrovo in sintonia sull’analisi di Desantis, credo che il futuro delle professionalità passi attraverso i social network..

    3. Mi sembra meriti un riconoscimento la qualità espositiva dell’autore, che leggo per la prima volta. Originale, chiara e senza fronzoli. Complimenti.
      Fotografia di un meccanismo che sapevamo in uso già da tempo (il plurale non è maiestatis, è frutto di condivisione), ma che viene utilizzato certamente in contesti aziendali ben delimitati, se non ‘illuminati’, non tanto per qualità, quanto per finalità e obiettività.
      Per il resto vale purtroppo qunto afferma cerignolano stanco… segnalazioni di intermediari o, peggio ancora, di amici degli amici costituisce il percorso di inserimento di gran parte del job recruiting in quasi tutto il terziario avanzato e non solo.
      Volutamente dimenticato dall’autore (per pudore immagino o per disincanto..), il riferimento alla ricerca di personale qualificato nella Pubblica Amministrazione a cui per lo stesso motivo mi associo.
      Buon articolo complimenti a LNW

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