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    Baldina e Dorella, cartolina da Cerignola all’Italia di oggi

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    «Direttore, le scrivo da cerignolana, non so se lo sa, ma è morta Baldina Di Vittorio, figlia di Giuseppe, il più carismatico dei leader sindacali italiani, era una donna forte Baldina, ha vissuto nel solco di un grande padre ed è stata lei stessa una grande donna. Salvata bambina da operai e contadini nascosta sotto il tavolo delle riunioni della Camera del lavoro di Bari assediata dai fascisti, due volte parlamentare del Pci, volle e fondò Casa Di Vittorio a Cerignola e ha speso una vita, fino agli ultimi suoi giorni, per trasmettere ai giovani i valori, la caparbietà, la voglia eretica di cambiare del suo grande papà. Non crede che meriterebbe di essere ricordata?». A scrivermi è Dorella Cianci, classicista, esperta di storia e metodi di educazione, innamorata della parola e del corpo della cultura greca che narrano inascoltati di una bellezza, antica e fragile, ma straordinariamente attuale, ingaggiata via mail come collaboratrice della Domenica del Sole con la forza che questo giornale ha sempre avuto di individuare e aprire le porte a nuovi talenti.

    Devo ringraziarla, e lo faccio volentieri pubblicamente, perché è bello il trasporto, non soltanto cerignolano, che traspare dalle parole di una donna di trent’anni per una signora di oltre novanta che ho conosciuto bene, due occhi azzurri e un naso aquilino, l’inconfondibile eleganza e soprattutto la forza espressiva che appartiene ai cromosomi ricevuti dal padre e agli anni passati da internata nel campo di Rieucros in Francia prima della fuga negli Stati Uniti dove raggiunse il marito, Giuseppe Berti. Da bambina al sindacato e poi in Parlamento fino al suo peregrinare nelle scuole, Baldina ha testimoniato per una vita intera la lezione di Giuseppe Di Vittorio, per gli amici Peppino, bracciante figlio di bracciante con la quinta elementare e la passione per la lettura e gli studi, l’uomo che ha cambiato la storia dei lavoratori italiani e si schierò da solo contro Togliatti sui carri armati in Ungheria, l’uomo che non esitò a chiedere sacrifici straordinari ai lavoratori, piccole rinunce sui già gracili salari in cambio di una prospettiva duratura di lavoro, e venne ripagato con applausi fragorosi e un rapporto di fiducia mai interrotto sotto la spinta di una coerenza di comportamenti, una capacità di innovare e un carisma magnetico che non hanno mai avuto eredi.

    Parlare di Baldina significa parlare di Di Vittorio perché a loro modo padre e figlia sono stati un tutt’uno e lei se ne è sentita portavoce dopo la sua scomparsa. «Dobbiamo parlare ai giovani, dobbiamo spiegare chi sono stati gli uomini che sono stati capaci di trasformare in pochi anni un Paese agricolo prima in un’economia industrializzata poi in una potenza economica» risento le parole di Baldina di un po’ di tempo fa quando lei e la figlia, Silvia Berti, mi cercano e vogliono solo dirmi grazie perché mi sono permesso di ricordare la lezione di Di Vittorio straordinariamente attuale proprio in questi anni di crisi profonda, quella spinta così contadina e così innovativa a trovare il coraggio di cambiare e di occuparsi di chi il lavoro non ce l’ha che mai come adesso si impone per la Cgil e tutti i sindacati, ma anche per le forze produttive, professionali e politiche di questo Paese. Ricordo quando all’Archivio di Stato all’Eur, a Roma, Baldina ha voluto, insieme alla figlia Silvia e alla presenza del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che rievocassi con Fabrizio Barca e Guglielmo Epifani la figura del padre. Di quel pomeriggio mi sono rimaste dentro tante cose, anzi ne ho capite tante di nuove, e ho davanti agli occhi lo sguardo fermo e appagato di madre e figlia quando sulla parete bianca scorrevano le immagini del documentario di Lizzani dedicato a Giuseppe Di Vittorio, le strade di Roma piene di lavoratrici e lavoratori di ogni città d’Italia nel giorno del suo funerale, luce e pianto, gioia e dolore. Tra le tante immagini una che non ho mai dimenticato: una signora anziana di Cerignola con un velo nero che si rivolge a una ragazza sotto un sole luminoso e dice estualmente: «Lo voleva bene pure le pietre, non saccio come ha fatto a mori’». Per quella signora di Cerignola un uomo così grande non poteva morire. Questa “grandezza” Baldina l’ha raccontata fino all’ultimo giorno della sua vita, soprattutto ai giovani, un modo per testimoniare che anche da noi sono esistiti grandi italiani, più di quanto si immagini, che hanno saputo cambiare il Paese con poche chiacchiere e molti fatti. Mangiava le triglie con le mani Peppino Di Vittorio e scriveva solo con la sua penna stilografica (guai a chi gliela toccava) ma non esitò mai a prendersi le sue responsabilità e contribuì a cambiare l’Italia. Grazie Dorella per avermi spinto a parlare di questa straordinaria famiglia, ciao Baldina. Questa cartolina da Cerignola è così antica e così straordinariamente nuova, significa tante cose, bisogna solo avere voglia di leggere e di ascoltare.

    Tratto da ilsole24ore.com – di Roberto Napoletano – 11 gennaio 2015

    2 COMMENTS

    1. Un articolo che inorgoglisce, almeno per una volta, forse perché a scriverlo non è un cerignolano. Grazie infinite, Roberto Napoletano…

    2. L’appagamento morale di chi si sente cerignolano “vero” alberga nelle armoniose frasi di questo articolo che ben delimita e definisce quelle che sono state giuste rivendicazioni formulate da illustri figli di questa terra per una dignitosa organizzazione prima del mondo del lavoro e successivamente del mondo femminile.
      Peppino e sua figlia Baldina hanno saputo reclamare a gran voce in quell’Italia latifondista e maschilista i diritti di tanti rispetto ai privilegi di pochi.

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