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    Olio dalla Tunisia: oltre la politica, quello che le associazioni di categoria non dicono

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    L’Olio Extra Vergine di Oliva è uno dei giorni all’occhiello del made in Italy, e ancor più del made in Puglia, la regione che da sola conta circa 60 milioni di piante di ulivo e nella quale sono ospitati tre dei cinque ulivi più antichi al mondo. Ieri se n’è parlato in consiglio comunale a Cerignola, da sempre terra di olio, e si è approfondito il tema delle importazioni di olio tunisino, misura europea che potrebbe mettere a rischio le produzioni e il mercato italico dell’oro verde. Il walzer delle colpe – chi ha voluto cosa, chi poteva fare, chi avrebbe dovuto agire – ha lasciato troppo spesso spazio a luoghi comuni. Tra questi, sponsorizzati e sollecitati dalle associazioni di categoria, il consorziarsi, la tutela del prodotto di qualità, l’attenzione al biologico, i rischi delle importazioni per il prodotto locale.

    Ma le associazioni, locali e nazionali, dov’erano quando venivano svenduti i marchi di pregio italiani alle multinazionali agroalimentari, pronte a sfruttare il brand Italia per vendere olio prodotto dalla cultivar spagnola Arbequina (varietà di oliva coltivabile in modalità superintensiva per massimizzare i guadagni, ndr). Le stesse categorie vantano al loro interno decine di imprenditori agricoli che stanno trasformando i territori, i nostri territori delle olive Coratina, Ogliarola e Peranzana, in oliveti superintensivi sul modello spagnolo. Il tutto per produrre di più, non per fare qualità. Le stesse associazioni sponsorizzavano già trent’anni fa sul fronte vino l’impianto dei “tendoni”, a discapito della “spalliera”. Oggi Cerignola produce tanta quantità e poca qualità. Nel consiglio comunale di ieri il rappresentante di categoria, dott. Ippolito, ha esposto alcuni rischi. «Il problema sull’olio è unico per la nostra Italia – ha affermato -. Il made in Italy oggi sarà tagliato con l’olio tunisino e questo succederà soprattutto con le multinazionali». Peccato che le multinazionali già vendono olio non italiano e, cosa ignorata da molti, stanno acquistando terreni in Puglia, in Toscana e nel Lazio per piantarci oliveti superintensivi che andranno a svilire ulteriormente i grandi olii italiani.

    L’assessore Zamparese legge il documento condiviso dalle associazioni di categoria, denso di proposte, che cozzano nettamente con i comportamenti avuti dalle categorie stesse negli anni. Il Sindaco recepisce, nello specifico la creazione di un’agenzia/ufficio che si occupi di attuare i punti stessi del documento. Il consigliere Tommaso Sgarro chiede uno scatto d’orgoglio, «lanciare un segnale forte come consiglio comunale, all’unanimità». La rappresentante del territorio in Europa, l’On. Elena Gentile ha già annunciato battaglia, supportata anche dalla presa di posizione netta dell’On. De Castro. Il si o il no all’importazione di olio dalla Tunisia non risolverà comunque l’atavico problema della filiera in agricoltura in terra di Capitanata, laddove le produzioni di pregio lasciano troppo spesso il posto alle produzioni di quantità e dove, appunto, le filiere incomplete regalano ad altri territori i nostri gioielli semilavorati, dai mosti agli olii, dal grano all’ortofrutta.

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