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    Il ddl sul caporalato è legge, sfruttamento e migranti al centro del Progetto Presidio

    Ieri sera la presentazione in Curia vescovile del piano finanziato dalla Cei e coordinato dalla Caritas

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    «Un passo in avanti fondamentale, un provvedimento necessario che va a colmare una lacuna dell’attuale legislazione italiana». Così Don Luigi Ciotti, presidente nazionale di Libera, ha commentato la nuova legge sul caporalato approvata in via definitiva dalla Camera il 18 ottobre scorso. Dopo l’approvazione del Senato ad agosto, anche Montecitorio, con 346 voti a favore e nessun contrario, ha dato l’ok alle norme che prevedono il carcere fino a sei anni per chi sfrutta i lavoratori dell’agricoltura. Un importante passo in avanti contro la filiera sporca del cibo, accolto in maniera critica da Yvan Sagnet, ex sindacalista della Flai CGIL, leader della prima rivolta di braccianti stranieri contro i caporali, avvenuta a Nardò nell’estate del 2011. «Una legge importante per quello che rappresenta ma poco risolutiva – commenta sul suo profilo facebook-. Il lavoro irregolare, come le mafie, non si contrasterà esclusivamente con l’uso della repressione, ma serve soprattutto più prevenzione –denuncia-. Affermare oggi che questa sia una vittoria per i lavoratori, come dichiarato dal Ministro e da alcune associazioni, mi sembra prematuro, anche perché le vittorie si misurano sul campo di battaglia. Aspettiamo almeno la prossima stagione di raccolta a Rosarno per trarre ogni valutazione in merito».

    Ma cosa prevede, nel dettaglio, la nuova legge sul caporalato?

    Ce lo facciamo spiegare da Stefano Campese, Avvocato esperto in diritto delle migrazioni, tra i fondatori dello sportello cittadino di “Avvocato di strada”. «E’ una buona legge – dichiara -, soprattutto perché capace di recepire le istanze provenienti dalle realtà sindacali e del terzo settore. Ottime tutte le innovazioni apportate: confisca obbligatoriaarresto in flagranza, responsabilità degli enti, responsabilità del datore di lavoroestensione della platea dei destinatari del Fondo anti tratta, istituzione della Rete del lavoro agricolo di qualità. La previsione della confisca obbligatoria, in uno con alcuni istituti premiali per chi decide di collaborare (c.d. ‘pentiti’), esattamente come avviene per i beni della criminalità organizzata, rappresenta il riconoscimento di quanto, da tempo, organizzazioni sindacali, realtà del terzo settore e operatori del diritto sostenevano: il caporalato è mafia. E questo sia per i dati strutturali del fenomeno (430mila lavoratori caporalati, presenza diffusa e capillare su tutto il territorio nazionale) sia per la natura ontologica dello stesso (necessità di rete transnazionale, natura di ‘reato spia’, come lo hanno definito diversi procuratori, ovvero di reato in presenza del quale è molto probabile che si accompagnino tutta una lunga serie di altri reati, dallo sfruttamento sessuale alla truffa ai danni degli enti di previdenza passando per la sofisticazione alimentare)». «Con questa nuova legge -aggiunge Campese- si è superata anche l’anacronistica concezione che vedeva le vittime di tratta soltanto come vittime di sfruttamento sessuale. Oggi anche le vittime di sfruttamento lavorativo sono tra i destinatari del Fondo antitratta». «Una legge buona e giusta» -come l’ha definita il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso- di cui si è parlato anche ieri sera, nel Salone “Giovanni Paolo II” della Curia Vescovile, in occasione della presentazione del 25° Rapporto Immigrazione realizzato da Caritas Italiana e Fondazione Migrantes, “La cultura dell’incontro”. Tra gli ospiti, Giovanni Laino, direttore diocesano della Caritas, e Oliviero Forti, responsabile Area Immigrazione di Caritas Italia.

    Il commento di Oliviero Forti

    «Quello del caporalato è una piaga di questo territorio, da sempre, prima ancora dell’arrivo dei migranti ha dichiarato Forti-. E’ il prodotto della totale assenza di pianificazione sui processi di integrazione, un pezzo di un sistema malato che, a partire dai datori di lavoro, affligge i territori attraverso i caporali, la grande distribuzione, gli autotrasportatori». Anche Forti, apprezza il testo licenziato dalla Camera. «Bene che ci sia, finalmente, una legge che contrasti il caporalato -ha detto- ma questa deve essere accompagnata da un lavoro culturale che coinvolga tutti, dall’imprenditore al consumatore finale che, quando va a fare la spesa, può orientare anche le scelte dell’industria alimentare». Secondo Forti, il «pezzo mancante» della legge riguarda proprio la grande distribuzione. «Vogliamo capire come funziona il sistema che fissa i prezzi dei prodotti agricoli e che, in troppi casi, spinge imprenditori senza scrupoli a peggiorare le condizioni di lavoro dei propri dipendenti». Da tempo, Caritas collabora con Coop al programma “Buoni e giusti”, che ha proprio l’obiettivo di verificare il buon funzionamento della filiera agricola. «L’auspicio è che anche altre catene della grande distribuzione decidano di mettersi in gioco».

    Progetto “Presidio”

    Durante l’incontro di ieri, in Curia vescovile, sono state presentate anche le linee-guida del Progetto Presidio, finanziato dalla Conferenza Episcopale Italiana e coordinato da Caritas Italiana, teso ad arginare lo sfruttamento lavorativo in agricoltura, sulla scia del Protocollo sottoscritto a livello nazionale, nel maggio scorso, da ministeri, regioni, ispettorati del lavoro, organizzazioni imprenditoriali, sindacati, Caritas Italiana e Libera. Un progetto strutturato in diciotto territori (gli ultimi otto aggiuntisi quest’anno), in Sicilia, Puglia, Calabria, Campania e Basilicata, ma anche nei territori di Latina e Saluzzo, dove sono presenti sacche importanti di irregolarità lavorativa. Da pochi mesi anche Cerignola ha il suo ‘Presidio’: «Nel primo biennio -ricorda Forti- abbiamo dato assistenza a 4mila persone, tutti immigrati, scoprendo, per esempio, che il 40% aveva ricevuto una forma di protezione, come il permesso di soggiorno per rifugiati. Questo dato ci ha allarmato perché svela una falla nei percorsi successivi alla protezione che deve essere colmata».

    Il Vescovo Renna: «Non c’è carità senza giustizia»

    «Bisogna guardare il fenomeno dell’immigrazione con intelligenza. L’intelligenza dice ‘amore’ e amore dice ‘verità’ -ha concluso il Vescovo Renna-. La carità non si fa solo con ‘i pacchi’ della spesa di cui Cerignola è piena -ha ammonito-: la prima forma di carità è la giustizia. Per questo, il progetto ‘Presidio’ che prende avvio grazie alla Caritas deve proseguire. Il centro polivalente per immigrati “Santa Giuseppina Bakhita” alla Borgata Tre Titoli a Cerignola, insieme al dormitorio per immigrati ad Orta Nova, sarà tra le opere-segno dell’Anno giubilare».

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