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    Ricorso inammissibile. La cassazione condanna il Sindaco di Cerignola Metta

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    Una nuova tegola piove sull’immagine del Primo cittadino di Cerignola Franco Metta. Tutti ricordano la sentenza, del dicembre 2013, che fece molto scalpore per l’allora leader cicognino, con la condanna a un anno di reclusione e al pagamento delle spese processuali per «comportamento intemperante nei confronti del Presidente del Collegio e del P.M. (si tratta di Elena Carusillo e Giuseppe Gatti, ndr)», si leggeva testualmente, perché ha offeso «l’onore e il prestigio degli stessi, alzando la voce in tono particolarmente aggressivo e sovrapponendo la propria voce a quella degli altri; in particolare rivolgendosi al presidente affermava “lei ha consentito al Pubblico Ministero di fare tante volte la domanda fino a quando quel signore (l’assistito dell’avv. Metta, ndr) non ha detto il nome di […] e io ho avuto la fortuna di anticiparlo». Era il primo grado di giudizio e, ovviamente, Metta attraverso il suo legale di fiducia, propose ricorso in Corte d’Appello di Lecce, dove con sentenza del 25/05/2015, veniva «assolto dal reato di oltraggio commesso in danno del Pubblico Ministero di udienza perché il fatto non sussiste», con conseguente ridimensionamento della «pena per l’ulteriore reato commesso nei confronti del Presidente del collegio». L’iter procedurale prosegue spedito, con ulteriore ricorso in Cassazione, dove Metta, difeso dall’avv. Paola Tortorella, si vede confermare quanto già pronunciato in Appello poco meno di un anno prima.

    Nell’udienza del 14 aprile 2016, infatti, la Cassazione dichiara «il ricorso manifestamente infondato. Il ricorrente – si legge nell’atto – concentra le censure sulle sole espressioni riportate in sentenza, particolarmente valorizzate dai giudici di appello, che, invece, costituiscono l’epilogo di un comportamento irriguardoso ed oltraggioso. Richiamando la sentenza di primo grado, nella quale è descritta compiutamente la condotta dell’imputato, i giudici di merito hanno tenuto conto di tutte le espressioni pronunciate dall’imputato nel corso dell’udienza e di quelle che si collocavano all’apice di un atteggiamento aggressivo, provocatorio ed irriverente dell’imputato, connotato da un progressivo crescendo di accuse all’operato del Presidente del collegio, contestato non sul piano tecnico con argomenti tecnico-giuridici, bensì sul piano professionale e personale, addebitandogli l’incapacità di arginare il comportamento del P.m. […] La lettura del capo di imputazione – prosegue l’ultimo grado di giudizio – dà conto delle ripetute contestazioni rivolte dal Metta al Presidente sul modo di condurre l’udienza al punto da esortarlo ad abbandonare il dibattimento, per aver consentito eccessiva libertà al P.m., facendo illazioni e lasciando intendere che tale incapacità di arginare il P.m. potesse derivare da problemi particolari del giudicante nei confronti del rappresentante dell’accusa». 

    Nel secondo accapo, inoltre, si legge testualmente: «Anche il secondo motivo è infondato, in quanto il dolo è integrato dalla consapevolezza dell’offensività delle espressioni utilizzate, resa evidente sia dal tenore oggettivo che dalla ripetitività incalzante delle stesse nonché dalla condotta complessiva del ricorrente, addirittura trasmodata nel tentativo di istigare gli altri difensori ad abbandonare il dibattimento in segno di protesta ed a loro volta accusati di non svolgere in modo adeguato il loro compito per non aver aderito alla sua proposta. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende, che si stima equo determinare in € 1.500,00». In conclusione, quindi, per le motivazioni esplicitate la Cassazione «Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.500,00 in favore della cassa delle ammende».

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