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    Si è svolto nel Duomo di Cerignola il Giubileo degli Operatori della Giustizia

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    Circa 100 tra avvocati e operatori della giustizia, con a capo i Sindaci e i delegati del Prefetto di Foggia e del Questore di Foggia, nonché i rappresentanti delle Forze dell’Ordine, hanno partecipato al Giubileo degli Operatori della Giustizia, domenica 23 ottobre, nel Duomo di Cerignola. Ad organizzare l’evento è stato l’avv. Nicola Famiglietti di Cerignola. Dopo un incontro nella Sala “Giovanni Paolo II”, nel quale il vescovo Luigi Renna ha presentato un testo sul tema del rapporto tra giustizia e misericordia, e l’intervento di alcuni dei presenti, c’è stata la processione verso la Porta Santa del Duomo e la celebrazione Eucaristica. Segue l’omelia del Vescovo.

    L’Anno della Misericordia che si sta celebrando dal dicembre scorso e che volge ormai al termine, e papa Francesco che a partire già dai primi giorni della sua elezione a pontefice (Angelus del 17 marzo 2013) quando indicava nel libro “Misericordia” di Karl Kasper un testo molto valido per conoscere Dio e il nucleo del messaggio evangelico, stanno consegnando alla Chiesa e agli studiosi di diritto, una opportunità particolare, che permette di rileggere il senso della giustizia. Questo discorso sia nuovo nel magistero pontificio: a partire da Pio XII abbiamo un crescendo di interventi magisteriali e di gesti concreti di carità, che si traducono soprattutto nella visita e nei dialoghi dei papi con i carcerati. Ma quest’anno viene dato anche a voi, fratelli e sorelle che a vario titolo operate per la giustizia, un messaggio sul senso della misericordia nel mondo così complesso dell’agire umano. Accadrà a voi, me lo auguro, quello che accadde al celeberrimo avvocato penalista e scrittore Francesco Carnelutti (1875-1965). Costui era sempre stato lontano dalla fede fino al giorno in cui, in treno, gli cadde l’occhio su un passo assai illuminante del Vangelo: «Ero in carcere e siete venuti a trovarmi». Da quella lettura parte un cambio di prospettiva, per cui scrive: «Improvvisamente rividi quella grande schiera di uomini condannati per omicidi, rapine, violenze carnali e crimini di ogni tipo. Una folla di individui decaduti e caduti nell’abisso del crimine, tuttavia ricchissimi di umanità. Gesù si metteva sul loro stesso piano, senza neppure rivendicare la dignità normalmente riconosciuta a un prigioniero politico o a un detenuto innocente. Fu una rivelazione sconvolgente: di colpo mi resi conto che un’affermazione del genere non poteva provenire da una fonte puramente “umana”. Soltanto il Creatore di tanta umanità decaduta poteva dimostrare tale solidarietà e tale amore nei suoi confronti». Quella “fonte non puramente umana” fa la differenza nel modo di comprendere il rapporto nuovo che si viene a creare nel tra pena e misericordia.

    Nella Misericordiae vultus abbiamo delle parole precise sul rapporto tra misericordia e giustizia penale. È un testo che viene preparato da molti riferimenti biblici che pongono in evidenza il rapporto tra misericordia e sacrificio, tra perdono che Dio accorda e situazione di peccato. L’intenzione del papa è quella di “ristabilire” il senso della misericordia nella vita del credente e mostrare che c’è misericordia per tutti. Le parole diventano accorate quando parla di crimine e di corruzione. Ma non intende cancellare la pena; afferma: Chi sbaglia dovrà scontare la pena. Solo che questo non è il fine, ma l’inizio della conversione, perché si sperimenta la tenerezza del perdono. L’agire di Dio va oltre la giustizia, e l’operatore di giustizia lo ricorda in modo particolare a partire da questo giubileo: Se Dio si fermasse alla giustizia cesserebbe di essere Dio, sarebbe come tutti gli uomini che invocano il rispetto della legge. La giustizia da sola non basta, e l’esperienza insegna che appellarsi solo ad essa rischia di distruggerla. Per questo Dio va oltre la giustizia con la misericordia e il perdono. Ciò non significa svalutare la giustizia o renderla superflua, al contrario. La giustizia di Dio è una giustizia superiore: è una giustizia che salva. Giustizia di Dio-giustizia propria. Dio non rifiuta la giustizia. Egli la ingloba e supera in un evento superiore dove si sperimenta l’amore che è a fondamento di una vera giustizia. Dobbiamo prestare molta attenzione a quanto scrive Paolo per non cadere nello stesso errore che l’Apostolo rimproverava ai Giudei suoi contemporanei: «Ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio. Ora, il termine della Legge è Cristo, perché la giustizia sia data a chiunque crede» (Rm 10,3-4). Questa giustizia di Dio è la misericordia concessa a tutti come grazia in forza della morte e risurrezione di Gesù Cristo. La Croce di Cristo, dunque, è il giudizio di Dio su tutti noi e sul mondo, perché ci offre la certezza dell’amore e della vita nuova.

    Il Vangelo di oggi è un dono che il Signore per mezzo della Chiesa vi fa: vi parla di ciò che è gradito al Signore, dell’unico atteggiamento gradito al Padre, quello del pubblicano. I protagonisti della parabola sono due uomini e la loro coscienza, quella che un giudice non può scandagliare, e a cui solo Dio ha accesso. Il massimo della rettitudine, un fariseo, e il massimo della corruzione, un pubblicano. Ma cosa c’è nel loro cuore? Per chi fa il bene quell’uomo così retto, che prega ritto in piedi? “Pregava tra sé”, dice il Vangelo, cioè viveva un monologo nel quale si autocompiaceva. Erano i suoi pensieri, erano le sue idee il punto di confronto, non Dio. Quando ti misuri con gli altri, con l’idea che hai degli altri rischi di sentirti un gigante. È la religione “fai da te” di un uomo retto: per la quale gli altri non sono fratelli, ma impostori, ladri, sono una feccia. Solo lui brilla. Questi uomini non fanno paura alla giustizia, anzi. Ma a Dio non basta questa giustizia esteriore, perché il Vangelo dice che questi non se ne andò a casa giustificato, cioè “assolto da Dio”. Perché? Alla sua rettitudine manca l’amore, manca la misericordia. C’è un altro uomo, i cui crimini molto probabilmente lo condurrebbero ad essere condannato. Quest’uomo non prega tra sé, a differenza dell’altro, ma si mette con sincerità, a nudo, davanti a quel Dio per cui siamo tutti piccoli. Cari fratelli, quanto bene viene da questo atteggiamento, quello di essere uomini e donne che nella loro esistenza si sentono sempre bisognosi di misericordia e di grazia. Il loro cuore contrito è sacrificio a Dio, come dice il Salmo 50: “Un cuore contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato tu o Dio non disprezzi”. Quest’uomo trova giustificazione davanti a Dio. Insegna molto alla nostra vita personale, perché ciascuno di noi è prima di tutto una creatura davanti al Creatore, un figlio davanti al Padre. Ma insegna molto anche alla vostra professione, perché quell’uomo nella sua vita compare davanti ad un tribunale altro, quello di Dio, che gli donerà misericordia. E io spero che voi abbiate sempre in cuor vostro, anche davanti alla persona che ha sbagliato, il desiderio che essa, al di là della pena, incontri lo sguardo mite del Giudice che si è lasciato crocifiggere per noi, Gesù Cristo Signore. E che nell’applicare il diritto, sappiate guardare alla pena come non ad una vendetta dello Stato sulla persona, ma come espressione di una giustizia riparativa, attingendo a tutte le risorse che il codice vi dà perché sia giustizia che lascia intravedere la possibilità della redenzione piena.

    2 COMMENTS

    1. ……………….preferisco parlare di operatori di Male ed Ingiustizia (ovvio targata PD)

    2. Giustizia????
      Ma di quale giustizia? Forse quella che scarcera per decorrenza termini mafiosi, assassini, stupratori ecc e si accanisce su chi compie piccoli reati, che aspetta giusto il tempo di far decantare l’attenzione per dar libertà ed onori ai migliori offerenti.
      Siamo una Nazione corrotta e di venduti al miglior offerente.
      Forse è stata volutamente svolta in Cattedrale per far capire che l’unica giustizia che potremo avere è quella Divina (per chi ci crede),
      per chi non ci crede neanche quella.

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