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    Fine vita e bio-testamento visti da più ambiti: il dibattito a Cerignola | FOTO

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    «Fine vita tra diritto, scienza e fede» è il titolo di un interessante convegno che s’è tenuto la mattina di sabato 6 maggio a Cerignola, presso Palazzo Coccia. L’incontro è stato promosso dalla dottoressa Chiara Castaldi e patrocinato dalla Diocesi di Cerignola-Ascoli Satriano, dalla LILT (Lega Italiana Lotta ai Tumori)-sezione di Foggia, dalla Fondazione Umberto Veronesi, dall’ANF-Sindacato degli Avvocati del Tribunale di Foggia, da Cerignola per l’oncologia, dalla Farmacia Cialdella di Cerignola, da Imago X Ray-Centro di diagnostica per immagini, dal Liceo Scientifico “A. Einstein” di Cerignola, dall’I.I.S.S. “A. Righi” di Cerignola, dall’I.T.C. “Dante Alighieri” di Cerignola e dall’I.I.S.S. “G. Pavoncelli” di Cerignola.

    A presiedere la discussione, moderata dal dottor Pierluigi Miglioratibiologo, specializzato in genetica -, importanti personalità dei diversi settori chiamati in causa. Ad aprire il dibattito è Giulia Giordanostudentessa presso la Facoltà di medicina e chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma – che cerca di far maggior chiarezza possibile su alcuni concetti come, ad esempio, l’eutanasia – «dal greco “eu tanatos”, la morte buona, la morte dolce, senza sofferenza» – e la differenza fra eutanasia attiva ed eutanasia passiva: «In quella attiva vi è la somministrazione della sostanza letale che porterà alla morte del soggetto, mentre quella passiva prevede la sospensione o la disattivazione di presidi di sostentamento vitale». Il suo intervento vira sul biotestamento, visto come il «rendere il soggetto malato protagonista, esprimendo anticipatamente la sua volontà di morire», ma anche «arma a doppio taglio, poiché quando il paziente lo compila non è a conoscenza di come evolverà la malattia». Successivamente, prende la parola la dottoressa Cecilia Belpiede – del reparto anestesia e rianimazione dell’Ospedale “Tatarella” di Cerignola – che pone la questione da un altro punto di vista: «Chi è il medico? Qual è la sua posizione? Non è colui che deve accettare quello che gli altri gli dicono. Spesso abbiamo pazienti terminali che ci chiedono di staccare la spina o somministrare un farmaco letale. E io mi chiedo: chi sono, io medico, per fare questo? Penso che per staccare una spina non occorra una Laurea in Medicina –prosegue la dottoressa – e che possano farlo tutti. Oltre alla tutela della dignità del malato, chi pensa al medico? Il medico deve curare, non uccidere. Questo è il messaggio che desidero che passi». La dottoressa Belpiede inoltre precisa come il no all’accanimento terapeutico sia cosa ben diversa dall’eutanasia, poiché non significa abbandonare il malato, bensì accompagnarlo alla fine.

    È il turno del professor Flavio Fiorecoordinatore del reparto di anestesia, rianimazione e terapia del dolore, GVM Puglia, Bari -, il quale sottolinea come «ci sono situazioni in cui il malato, non riuscendo a parlare, non può esprimere le sue intenzioni. In casi di malattie psichiatriche come la depressione, il soggetto potrebbe richiedere la somministrazione di quelle medicine». Il dottor Fiore esprime la difficoltà nel prendere una posizione netta in un campo così vario, con tanti casi differenti. In talune situazioni bisognerebbe approfondire prima di decidere se è il caso di applicare l’eutanasia. A fare il punto della situazione dal punto di vista giuridico è l’avvocato Pasquale La Pesa – del Grande Oriente d’Italia – , il quale constata amaramente che «in Italia si arriva a parlare di questi temi solo nell’emergenza, sull’onda emotiva dei casi di cronaca, come avvenuto sui casi Welby, Englaro e DJ Fabo. Quando si discute è difficile avere una posizione serena, ci si schiera come tifosi, si litiga». Nel 2017 il legislatore italiano non poteva più sottostare ad una sorta di “gabbia legislativa” e così, lo scorso 20 aprile, la Camera dei deputati ha compiuto un primo vero passo avanti con l’approvazione della DAT (Dichiarazione Anticipata di Trattamento). L’avvocato La Pesa ha inoltre specificato come «la laicità viene vista come anti-cattolicesimo: non è così. Un laico è colui che vuole che la voce di chi la vede in modo diverso venga ascoltata».

    L’ultimo intervento è quello di S.E. Monsignor Luigi Renna: «Nella storia abbiamo uomini di scienza che hanno fede, il più grande è Galileo Galilei, e uomini di fede con posizioni diverse nei confronti della scienza – apre il Vescovo della nostra Diocesi. Non si vuole assolutamente fermare la ricerca, ma si tratta di rendersi conto di come la tecnica possa usare tale ricerca. Einstein aveva scoperto la teoria della relatività e non è certo responsabilità sua l’invenzione della bomba atomica. Scienza e tecnica sono due realtà che vanno distinte, così come fede ed etica». Mons. Renna sottolinea come il cattolicesimo italiano non sia mai stato un cattolicesimo intransigente e ricorda come Papa Pio XII aprì alla somministrazione di farmaci analgesici in un convegno di anestesisti negli anni ’50, così come significativo fu il «Lasciatemi andare al Padre» di Giovanni Paolo II nel 2005. «Fra medico e paziente vi dev’essere un’alleanza terapeutica, che arrivi sino a fine vita», asserisce Sua Eccellenza, che conclude sottolineando come l’Italia debba legiferare in materia, ma tenendo assieme scienza e visione dell’uomo.

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