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    Condanna a 20 anni per l’omicidio Tango. Il PM chiedeva l’ergastolo

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    Condannato a 20 anni di reclusione Leonardo Dimmito, 34 anni, il camionista cerignolano accusato dell’omicidio di Stefano Tango, concittadino di 46 anni, ucciso da un colpo di pistola la mattina del 24 agosto del 2017 a Cerignola nei pressi di una sala scommesse vicino al cimitero: l’imputato confessò subito di aver sparato, dicendo che la vittima si frapponeva alla sua richiesta di lavorare con una ditta del Barese per trasportare l’uva utilizzando i propri camion. Dimmito si costituì ai carabinieri il giorno dopo il delitto, venne fermato ed è tutt’ora detenuto in carcere. La sentenza di primo grado è stata pronunciata ieri mattina dal gup del Tribunale di Foggia Carlo Protano al termine del processo abbreviato chiesto dalla difesa, che ha comportato la riduzione di un terzo della pena. I pubblici ministeri Francesco Diliso e Alessandra Fini nell’udienza del 27 giugno scorso avevano chiesto la condanna all’ergastolo di Dimmito cui contestano l’omicidio aggravato dalla premeditazione ed il porto e detenzione illegale della pistola usata per il delitto. Richiesta di condanna ribadita dall’avvocato Marco Merlicco che sollecitava anche una provvisionale (un anticipo sul risarcimento) di un milione per le quattro parti civili costituitesi in giudizio: il gup ha condannato Dimmito a risarcire i danni alle parti civili, che andranno però quantificati in un’eventuale causa civile.

    Gli avvocati difensori Francesco Santangelo e Antonello De Cosmo hanno chiesto in prima battuta la derubricazione del reato di omicidio volontario in omicidio preterintenzionale, sostenendo che Dimmito non sparò per uccidere tant’è che esplose un solo colpo di pistola, che peraltro raggiunse la vittima al braccio per poi conficcarsi nel petto e perforare il polmone; in subordine (ma in sostanza è stato il cuore della discussione delle arringhe) i difensori hanno chiesto al giudice di escludere l’aggravante della premeditazione, concedere all’imputato sia l’attenuante della provocazione sia le attenuanti generiche considerato il comportamento processuale e la decisione di costituirsi alle forze dell’ordine, con una condanna quindi al minimo della pena. Il gup al termine della camera di consiglio ha escluso la sussistenza della premeditazione e condannato a 20 anni Dimmito tenendo conto dello sconto di un terzo previsto dalla scelta del rito abbreviato, partendo quindi da una pena base di 30 anni. Le motivazioni della sentenza di primo grado saranno depositate nei prossimi mesi. In attesa di sapere se la Procura impugnerà il verdetto, è certo che lo faranno i difensori come preannunciato ieri: chiederanno ai giudici della corte d’assise d’appello di Bari di ridurre la pena, puntando sulla concessione delle attenuanti generiche e di quella della provocazione.

    «Lui mi impediva di lavorare» Grazie a video e testimonianze carabinieri e poliziotti identificarono subito Leonardo Dimmito quale presunto responsabile dell’omicidio di Stefano Tango: il sospettato si consegnò in caserma 24 ore dopo il delitto. Per quanto ricostruito da pm e investigatori Dimmito arrivò sul luogo del delitto, entrò in un bar per un caffè, uscì e attese Tango che sopraggiunse poco dopo: seguì l’esplosione del colpo di pistola e la fuga del camionista ora condannato in primo grado a 20 anni di carcere. Dimmito confessò ai carabinieri quando si consegnò e soprattutto lo fece davanti al gip nell’interrogatorio nel carcere di Foggia. Confessione che il gip Domenico Zeno sintetizzò così nell’ordinanza con cui convalidò il fermo e lasciò in cella il presunto assassino. «Dimmito ha dichiarato d’aver ucciso Tango perché costui aveva assunto la gestione di fatto di un magazzino di frutta e verdura di una ditta barese, con cui l’indagato aveva lavorato negli ultimi 4 anni» (trasportava uva con i propri camion) «disponendo il divieto di lavorare con tale magazzino con Dimmito». A dire dell’imputato, «Tango con prepotenza aveva più volte minacciato di ucciderlo se si fosse rivolto ai responsabili della ditta per poter lavorare; lo aveva pestato due giorni prima del delitto e nuovamente minacciato. Dimmito ha dichiarato anche» rimarcò il gip «che prima di uccidere Tango, aveva avuto un altro incontro con la vittima nel quale Tango gli aveva negato la possibilità di farlo lavorare e lo aveva minacciato di morte per l’ennesima volta».

    Nel ricostruire le fasi dell’agguato (e negare di aver ordinato ad un commerciante di spegnere una telecamera, evidentemente nell’ottica accusatoria per evitare di essere inquadrato prima del delitto), Dimmito confessò al giudice «d’aver armato la pistola, che portava con sé temendo rapine ai danni dei propri camion, e d’averla puntata contro Tango, minacciando di ucciderlo se non lo avesse fatto lavorare; al che che Tango lo aveva sfidato e lui aveva fatto fuoco, non credendo comunque di riuscire a ucciderlo». Dimmito aggiunse «d’essere esasperato a causa delle continue angherie che doveva subire da parte di Tango, che non poteva più mantenere la sua famiglia e ciò lo aveva sconvolto».

    tratto da La Gazzetta del Mezzogiorno

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