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    San Marco in Lamis, un anno dopo la strage: come è cambiato lo scenario nella provincia di Foggia

    Il 9 agosto 2017 il sanguinoso agguato in cui persero la vita il boss Romito, suo cognato e dei testimoni innocenti

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    Il 9 agosto 2017 è una data spartiacque nella storia della provincia di Foggia. Quel giorno a San Marco in Lamis si consumò una delle stragi più sanguinose ed efferate messe mai a segno dalla mafia locale: quattro uomini, il boss manfredoniano Mario Luciano Romito, suo cognato Matteo De Palma e due contadini, Luigi e Aurelio Luciani, vennero uccisi mentre percorrevano la strada pedegarganica. L’episodio destò particolare clamore non solo perché non si ricordava in tempi recenti un episodio di tale violenza – sebbene la striscia di sangue si protraesse da anni -, ma soprattutto perché gli abitanti del foggiano si scontrarono con una realtà terribile: la criminalità locale non si fa scrupoli ad ammazzare anche testimoni innocenti, come è accaduto ai Luciani, la cui unica colpa era stata quella di essersi trovati al posto sbagliato al momento sbagliato.

    Il 9 agosto 2017 l’Italia intera conobbe la “Quarta Mafia”, la mafia del Foggiano. Una realtà che a dire il vero era già nota alla DIA, che da alcuni anni aveva iniziato a guardare sempre con maggiore attenzione, ma per lo più sconosciuta all’opinione pubblica, «considerata una mafia di serie b», come spiegò l’allora Procuratore Nazionale Antimafia Franco Roberti. La mafia del foggiano, con la strage di San Marco, aveva avuto un nuovo battesimo del fuoco e, soprattutto, mediatico. Anche lo Stato si accorse che la situazione in quell’angolo di Puglia stava prendendo pieghe decisamente preoccupanti e che bisognava intervenire tempestivamente: «La risposta sarà durissima – dichiarò l’allora Ministro degli Interni Marco Minniti – perché la lotta contro le mafie è una grande battaglia di civiltà e una questione del Paese». I risultati immediati furono la militarizzazione della Provincia e dopo meno di un mese l’arresto dei due presunti killer – uno dei quali risulta essere residente a Cerignola – ma l’indagine, che si è mossa nella direzione di una faida col clan Li Bergolis, collegando l’omicidio ad un altro episodio simile accaduto ad Apricena, non è ancora arrivata ad una conclusione. Ma ad un anno dalla strage e dall’avvio delle operazioni, cosa è cambiato nello scenario della provincia di Foggia?

    MILITARIZZAZIONE DELLA PROVINCIA

    Minniti aveva promesso una reazione forte che si è concretizzata soprattutto in termini di uomini: dall’agosto 2017 sono arrivate in provincia 192 unità in più, tra cui 24 appartenenti ai “Cacciatori di Calabria” – il cui apporto è stato indispensabile per le missioni nelle zone più impervie del Gargano – e gli investigatori dello Sco, del Ros e dello Scico. Il dispiegamento di forze però non sarebbe stato efficace in assenza di punti di riferimento sul territorio, così in quest’ottica sono stati istituiti il Reparto Prevenzione Crimine di San Severo (il terzo nella regione, ndr) e lo Squadrone Eliportato dei “Cacciatori di Puglia” presso Jacotenente, sul Gargano. Ha destato non poche polemiche la decisione di non istituire un commissariato di primo livello a Cerignola, uno dei centri dove -come si legge nel rapporto semestrale DIA – opera una delle realtà mafiose più solide e strutturate e che per la quale, secondo i residenti e gli investigatori locali, servirebbe un azione di contrasto più organizzata. Capitolo a parte è quello del contrasto al caporalato, settore che, secondo il rapporto semestrale DIA, è una delle fonti di guadagno della mala locale. Uno strumento già a disposizione delle forze dell’ordine e della magistratura prima della strage di San Marco era la legge 199/2016, che prevedeva sanzioni e pene più aspre per chi si avvaleva del sistema. Tuttavia, le tragedie del 4 e del 6 agosto scorso – in cui hanno perso la vita 16 di quelli che si definiscono “nuovi schiavi” provenienti dall’Africa – è indice che la strada è ancora lunga e la legge necessita di essere sviluppata ulteriormente.

    MAFIA E ANTIMAFIA SOCIALE

    A fronte di un dispiegamento di forze così massiccio è interessante leggere i dati di polizia della provincia di Foggia. I dati inerenti al 2017 sono incoraggianti: cala il totale dei delitti da 28.554 a 23.764 e scende anche il numero dei reati di estorsione, da 184 a 158. Sono 453 gli arresti effettuati. Tuttavia, come dichiarò il Questore di Foggia Mario Della Cioppa in occasione della presentazione del rapporto inerente il primo trimestre 2018: «Anche se gli indici di delittuosità rivelano un trend a scendere, anche abbastanza netto, siamo perfettamente consapevoli che la loro lettura non può certo determinare soddisfazione: ciò perché la percezione della gente non corrisponde alla proiezione del dato reale, segno evidente che tanto ancora è necessario fare per affermare un sistema di sicurezza che coniughi perfettamente il dato con la percezione, specie in una realtà come quella di questa provincia dove, non raramente, si piega la testa, accettando la prevaricazione». Una percezione distorta dovuta quindi alla cortina di paura e omertà alzata dalla criminalità locale, di cui ne sono un esempio le “esplosive” giornate di fine anno a Cerignola. Anche per il settore dell’antimafia sociale la strage di San Marco ha segnato un momento drammatico, ma anche un punto di svolta, come ha spiegato a lanotiziaweb.it il referente provinciale di Libera Salvatore Spinelli: «Il 9 agosto segna sicuramente una data cruciale per la consapevolezza del nostro territorio sul tema delle mafie, non che prima non se ne avesse», afferma Spinelli. Egli sottolinea come, nonostante lo shock, la società civile abbia trovato le forze ed il coraggio per iniziare a costruire un futuro diverso: «L’attenzione mediatica ed il rinnovato impegno delle forze dell’ordine hanno acceso un faro importante, contribuendo a svegliare alcuni animi e ad iniziare a togliere il velo di rassegnazione che copre la comunità della Capitanata. Dal giorno dopo una parte della comunità di San Marco, partendo dai giovani, si è attivata per la creazione di un presidio fisso che si occupi di antimafia sociale, di memoria e cittadinanza attiva».

    La decisione di celebrare la giornata nazionale in memoria delle vittime della mafia a Foggia (presa già prima della strage) è stata un modo per far sentire la vicinanza di un intero movimento ad una popolazione in difficoltà, ma l’impegno non si limita a questo: «Il 21 marzo ha poi dato una scossa forte a tutta la provincia, con la nascita di collaborazioni, reti e gruppi attivi e volenterosi di operare per il bene comune. Un anno dopo ci rincontreremo per fare un punto a San Marco, per abbracciare la famiglia Luciani e non lasciarla sola nella richiesta di verità e giustizia, per rilanciare il nostro impegno oltre la scia emotiva che segue le stragi e gli eventi drammatici».

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