«Per molti anni la criminalità di Capitanata è stata sottostimata come se fosse un fenomeno di serie B, sottovalutata a tutti i livelli, basti pensare che c’erano rappresentanti istituzionali che l’assimilavano alla Sacra corona unità, nata nel Salento in un altro contesto». Il procuratore capo di Bari e della Direzione distrettuale antimafia Giuseppe Volpe sa bene che fu un errore sottovalutare la forza e ferocia della mafia foggiana, sin dai suoi esordi, che fa dell’impentrabilità una delle sue forze. Lo disse nell’intervista al direttore della Gazzetta del 20 aprile 2018 quando offrì questo dato alla riflessione dei lettori: centinaia di pentiti nel Barese, nessuno nel Foggiano.
«Gli affiliati baresi non sopportano il carcere: quando vengono arrestati» spiegò Volpe «davanti a prove schiaccianti, i baresi manifestano subito la volontà di collaborare, i foggiani no. I clan della Puglia settentrionale sono assai più spietati, anche nei confronti delle vittime: quando a Bari un imprenditore rifiuta di pagare il pizzo, può subire una ritorsione sui suoi cantieri, a Foggia invece due imprenditori che rifiutarono di piegarsi alle richieste estorsive, furono uccisi: ribellarsi significa rischiare di pagare con la vita, il che prova omertà e rinuncia a collaborare, solo grazie alle intercettazioni sono stati scoperti i taglieggiamenti alle imprese, nessuno però è mai venuto a denunciare richieste di pizzo. Deve maturare una diversa coscienza sociale, a cominciare dalle scuole: solo così si può abbattere il muro di omertà che oggi appare imperforabile. I clan foggiani sono poi attivi nel settore dei rifiuti, dalla camorra hanno ricevuto rifiuti per anni, ormai i boss in Capitanata si sono trasformati in broker e dove fiutano l’affare si tuffano. Quella foggiana è una mafia particolare: da un lato comportamenti ancestrali, vedi la ferocia nelle esecuzioni; dall’altro riesce a entrare nei gangli economici molto più di quella barese».
tratto da La Gazzetta del Mezzogiorno