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    Povertà, denaro sporco e pressioni sui professionisti: il rischio usura incombe sul foggiano

    L’intervista con i volontari della Fondazione Buon Samaritano di Foggia, che spiegano quali pericoli corre il nostro territorio nel post lockdown

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    L’usura è stato l’unico reato che a marzo, quando tutto era fermo per il lockdown, ha registrato un incremento. Basti pensare che, stando ai report della GdF, nel primo trimestre del 2020 le notizie di reato hanno fatto registrare il +9,6% rispetto all’anno precedente. Un fenomeno criminale che quindi è germinato accanto all’emergenza socio-sanitaria. Perché?

    FOGGIANO, SITUAZIONE IN BILICO

    Nella provincia di Foggia, terra che da tempo combatte e convive con questa piaga sociale, in questi mesi non ci sarebbe stato un particolare incremento del ricorso al capitale usurario da parte di famiglie e imprese. Ad affermarlo sono stati gli inquirenti nel corso della riunione svoltasi presso la Prefettura di Foggia lo scorso 16 giugno, alla presenza del Commissario del Governo per il fenomeno dell’usura Annapaola Porzio. Ma l’attenzione deve rimanere alta, perché la criminalità è rapidissima ad approfittare delle situazioni difficili. A dirlo non sono solo le Forze dell’ordine, ma anche gli enti e associazioni che agiscono sul territorio per aiutare cittadini e imprenditori a rischio usura. Ne è un esempio la Fondazione Buon Samaritano, che da anni affianca le vittime del fenomeno, si occupa di prevenzione e anche formazione. La Fondazione infatti, in collaborazione con l’Università degli Studi di Foggia, ha contribuito alla realizzazione di una clinica legale ad hoc incentrata proprio sul tema dell’usura e aperta agli studenti del Dipartimento di Giurisprudenza, che hanno avuto l’opportunità di formarsi su un tema così caldo per il nostro territorio. «Le piccole imprese spesso presentano deficit molto alti che impediscono loro l’accesso al credito tramite i canali ordinari, sebbene questo sia stato agevolato dalle garanzie statali istituite con gli ultimi decreti – spiega ai microfoni de lanotiziaweb.it il dott. Rocco Distasio, membro del comitato direttivo della Fondazione -. Questo contesto rappresenta un terreno fertile per la criminalità, che riesce ad insinuarsi nel tessuto economico e ad assumere il controllo delle attività. C’è stata una fase intermedia, quando gli interventi governativi dovevano essere ancora concretizzati, durante la quale imprese già deboli hanno corso il rischio di finire nelle mani degli usurai. Ma ritengo che le misure poste in essere siano efficaci per scongiurare questo pericolo». L’indice di rischio elevato è desumibile anche dal numero di ascolti effettuati nei mesi del lockdown dalla Fondazione, alla quale si è rivolta molta gente in balia di situazioni debitorie difficili da gestire: «Rispetto all’attività ordinaria, nel corso della quale prestiamo assistenza a famiglie o imprenditori con debiti molto elevati, oggi capita invece di avere a che fare con persone che chiedono somme di gran lunga inferiori, ma necessarie ad ottemperare ai bisogni di prima necessità come pagare la spesa o le bollette», dice l’Avv. Maria Laura Trisciuoglio, presidente del comitato giuridico della Buon Samaritano. Fondamentale per fronteggiare questa criticità sono stati i fondi anti-usura stanziati dalla Regione Puglia che hanno permesso agli enti come la Fondazione Buon Samaritano di dare in tempi brevi una boccata d’ossigeno a richieste molto più numerose rispetto al periodo pre-lockdown.

    QUALE USURA?

    Nei mesi bui della pandemia a muoversi non sono stati solo gli usurai di quartiere – quelli comunemente definiti “cravattari” – ma anche quelli appartenenti alla criminalità organizzata, i più ricchi e pericolosi. «La grande disponibilità di contante messa in circolazione nonostante la crisi lascia pensare che a muoversi siano stati soprattutto soggetti vicini ai clan, che dispongono dei proventi di attività illecite come estorsioni e traffico di stupefacenti, reinvestiti per l’appunto nell’usura – chiarisce l’avv. Trisciuoglio -. Le imprese rischiano di essere attratte da questa disponibilità immediata, perché le procedure di accesso al credito ordinarie sono tuttora farraginose per alcuni». Questi apparati criminali riescono con molta facilità ad individuare le loro potenziali vittime fiutandone la difficoltà: «Per chi come i clan consce bene il territorio è facile cogliere questi segnali – sottolinea il dott. Distasio –. Molto spesso, ad esempio, hanno rapporti coi fornitori e vengono a conoscenza di ritardi nei pagamenti delle forniture o del personale dipendente, o ancora vedono quali cantieri sono ancora bloccati». C’è poi la questione delle presunte collusioni di alcuni esponenti del mondo delle professioni che, secondo alcuni osservatori, svolgerebbero un vero e proprio ruolo di intermediari tra vittime e usurai. Sul punto l’avv. Trisciuoglio ritiene che il fenomeno sia molto più complesso: «Sebbene in qualsiasi categoria ci siano brave persone e mele marce, è probabile che tra i professionisti ci siano soggetti già collegati alla criminalità organizzata, magari non complici ma gente a sua volta sottoposta a minaccia o adescata dai criminali». Insomma, a finire nella morsa degli usurai non sarebbero solo coloro che ricevono denaro ad interesse ma anche soggetti “obbligati” a segnalare situazioni di difficoltà. «Una volta che un professionista, magari giovane ed in difficoltà economica, accetta o è costretto ad entrare in questo giro troverà sempre molta difficoltà a liberarsi e a riconquistare la propria indipendenza, perché la sua figura ‘serve’ alla criminalità».

    UN DANNO COLLETTIVO

    Le parole degli esperti presentano una situazione non ancora esplosiva, ma dove l’equilibrio è precario. L’invito della Fondazione è comprendere la gravità del fenomeno e non cedere alla tentazione di rivolgersi all’usura nei momenti di difficoltà, perché una volta che il meccanismo viene attivato a risentirne è la collettività che si trova nella morsa di una distorsione del mercato: «Un esempio può rendere la gravità della situazione – afferma il dott. Distasio -. Se una pizzeria viene sottoposta ad usura e per ripagare il proprio debito viene costretta ad acquistare materiale da un determinato fornitore, e magari questo prodotto è scadente ma più costoso rispetto alla media, a risentirne non è solo l’attività economica che ci rimette in termini economici, ma anche il cliente che avrà un prodotto pessimo e gli altri fornitori che non potranno fare affari con quella pizzeria».

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