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    Ecco perché il TAR Lazio ha confermato lo scioglimento del Comune di Cerignola

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    Dopo quattro mesi di attesa è arrivata la sentenza del TAR Lazio che si è pronunciato sul ricorso presentato dall’ex-Sindaco di Cerignola Franco Metta al fine di ottenere l’annullamento del Decreto del Presidente della Repubblica del 14 ottobre 2019 con il quale è stato decretato lo scioglimento dell’Amministrazione e della Giunta comunale per infiltrazioni mafiose nell’Ente. Il ricorso è stato «respinto». Ma come avevamo già spiegato in un articolo precedente, la battaglia legale tra la difesa di Franco Metta e le P.A. resistenti in giudizio (Presidenza del Consiglio, Ministero degli Interni e Prefettura di Foggia, ndr) si sarebbe combattuta sulla legittimità dell’atto, in quanto il giudice amministrativo di Roma, come previsto dalla legge, si è limitato a verificare che l’atto oggetto della controversia sia stato emanato regolarmente e non ricorressero gli estremi per l’annullamento. Ciò non significa però che l’analisi effettuata dei giudici sia stata superficiale, poiché in questi mesi hanno cercato di capire se il provvedimento fosse in qualche modo viziato da ‘eccesso di potere’, proprio una delle situazioni che comportano l’annullabilità dell’atto, che in questo caso si sarebbe potuto manifestare nel travisamento dei presupposti di fatto e di diritto da parte delle amministrazioni inquirenti.

    LA STRATEGIA DIFENSIVA LE RAGIONI DEL TAR

    E su proprio questa pista i difensori dell’ex-Sindaco hanno costruito la propria strategia. La contestazione mossa dai legali è che chi ha decretato lo scioglimento del Comune si sarebbe lasciato influenzare da una ‘presunzione di mafiosità’ sulle condotte dell’allora Sindaco e di alcuni esponenti dell’Amministrazione. Presunzione che nascerebbe dall’accurata descrizione fatta dalla Commissione di accesso a proposito della criminalità organizzata cerignolana, che non avrebbe consentito di leggere con obiettività i singoli episodi raccontati nella relazione. Sempre a proposito del travisamento dei fatti, i legali hanno inoltre sottolineato come i Commissari avrebbero posto alla base della loro relazione episodi ‘irrilevanti’ e che, al contrario, sarebbero state ignorate alcune iniziative dell’Amministrazione volte, a loro parere, ad osteggiare e condannare la criminalità organizzata. Nello specifico, Metta ricordava di «aver contribuito all’arresto di un noto pregiudicato che lo minacciava; di essere stato destinatario di un tentativo di corruzione, che è stato sventato e scoperto grazie alla sua denuncia; di aver denunciato un altro pregiudicato che lo aveva minacciato; di aver pubblicamente attaccato la malavita locale […]; di aver richiamato i vertici della struttura amministrativa, invitandoli al rispetto del principio di trasparenza dell’azione amministrativa, e ciò con una circolare diramata il 21 novembre 2016, nella quale ha richiamato alla puntuale applicazione delle Linee Guida dell’ANAC; di aver, infine, prescritto regole restrittive per le ipotesi di affidamento a soggetti esterni di ogni forma di consulenza e/o collaborazione professionale».

    Tuttavia i giudici del TAR Lazio non hanno ritenuto che tali rilievi siano sufficienti a dimostrare il travisamento dei fatti e l’eccesso di potere, mancando di conseguenza i presupposti per l’annullamento dell’atto. Come si legge nella sentenza, le contestazioni dei difensori di Metta non sono state peraltro in grado di giustificare diverse criticità rilevate dalla Commissione di accesso, quand’anche «la legittimità formale delle procedure di gara, la contestazione di inadempimenti, l’applicazione di penali o l’escussione di cauzioni non sono circostanze idonee a dimostrare l’inesistenza di condizionamenti dell’apparato amministrativo da parte della criminalità organizzata, potendosi all’opposto interpretare come la ricerca di un’apparenza di legalità finalizzata a meglio tutelare gli interessi della criminalità organizzata»: parliamo delle ‘anomalie’ riscontrate nell’affidamento e manutenzione del verde pubblico, della Villa comunale e della raccolta erbacce; sull’occupazione del suolo pubblico da parte dei dehors di alcuni locali; nella concessione e alienazione di beni pubblici.

    Peraltro i giudici del TAR Lazio danno anche una nuova lettura del condizionamento mafioso sull’Amministrazione che sarebbe stato, più che ‘favorito’ dalla stessa, ‘subito’ al punto tale da permettere una penetrazione della criminalità organizzata nell’attività del Comune. Si legge infatti nella sentenza che «la penetrazione della criminalità organizzata in vari settori di attività del Comune, […] è ragionevolmente conseguente a fenomeni di condizionamento degli organi amministrativi o dell’apparato burocratico, condizionamento che magari si è tradotto solo in atti intimidatori, senza una condivisione di obiettivi e di valori da parte dei membri dell’Amministrazione comunale, ma che sono pur sempre rilevanti ai fini di determinare lo scioglimento ai sensi dell’art. 143 TUEL». Indubbiamente vi è la necessità di approfondire i dettagli di questo provvedimento, che, anche grazie alla discovery della documentazione difensiva, fornisce nuovi interessanti spunti e chiavi di lettura sulle dinamiche di condizionamento del Comune di Cerignola che si sono verificate negli ultimi anni.

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