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    Dietro la legalità (apparente) si nascondevano condizionamenti: come le gare e gli affidamenti venivano ‘dirottati’

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    Abbiamo spiegato come la sentenza del TAR Lazio sullo scioglimento del Comune di Cerignola abbia fornito una nuova interpretazione sulle dinamiche di condizionamento mafioso su Palazzo di Città, frutto anche di pressioni sull’Amministrazione più che di una condivisione di un disegno criminoso, ma che comunque si è concretizzato in un favor per soggetti vicini ai clan e in un danno per la collettività. Una delle modalità in cui si è manifestato questo favor la si ritrova nell’affidamento dei servizi pubblici: parliamo della manutenzione del parco della Villa comunale e del verde pubblico.

    Nel primo caso l’affidamento del servizio era stato concesso ad una cooperativa costituitasi pochi giorni prima del bando e colpita dopo pochi mesi da interdittiva antimafia «presumibilmente –si legge nella sentenzaperché l’amministratore unico ed una socia facevano capo ad un esponente di uno dei locali clan della criminalità organizzata». Il provvedimento venne adottato proprio nel giorno in cui un attentato esplosivo colpì il chiosco interno alla Villa. Nel secondo caso il servizio era stato affidato ad un’altra cooperativa che in un primo momento era stata esclusa dalla gara per aver palesato anzitempo gli elementi dell’offerta economica, salvo poi essere richiamata dall’Amministrazione poiché l’unica altra offerente e aggiudicataria aveva rinunciato all’appalto. In favore della cooperativa richiamata veniva disposto «un primo affidamento diretto provvisorio, ad un prezzo ribassato del 5% rispetto a quello già posto a base d’asta». Successivamente «l’Amministrazione indiceva una gara aperta per l’affidamento del servizio medesimo per il triennio 2017-2019: in esito alla gara il servizio veniva nuovamente aggiudicato alla coop. -OMISSIS-, che aveva offerto un ribasso dello 0,1%, che però aveva ottenuto un altissimo punteggio nella offerta tecnica, tale da superare di pochissimo il punteggio ottenuto dall’altra partecipante, che aveva offerto un ribasso del 20%». Anche questa cooperativa è stata colpita nel 2019 da un’interdittiva antimafia «in quanto il relativo amministratore unico è risultato prossimo congiunto di un esponente di uno dei clan locali della criminalità organizzata».

    In entrambe le circostanze la Commissione d’accesso aveva rilevato «anomalie verificatesi nel corso delle procedure di affidamento». Nello specifico i giudici fanno riferimento alla «revoca di una gara e l’indizione di una nuova gara, il che di fatto ha consentito la partecipazione e l’aggiudicazione ad un soggetto neocostituito, complice la concomitante e indubbiamente inusuale rinuncia all’appalto da parte dell’originario aggiudicatario» e alla «valutazione particolarmente benevola di una offerta tecnica, tale da consentire l’aggiudicazione ad un soggetto che aveva proposto un ribasso irrisorio». Gli avvocati di Franco Metta avevano provato a ridurre la portata degli eventi descritti, sottolineando come da un lato le procedure di gara e di affidamento diretto siano state svolte regolarmente e dall’altro che ogni volta è stata tempestivamente richiesta la certificazione antimafia.

    Tuttavia queste contestazioni non hanno convinto i giudici. Sul primo versante il collegio sottolinea che la legalità formale non è garanzia di legalità sostanziale, anzi «proprio per salvaguardare certi interessi v’è la necessità di dare un’apparenza di legalità nell’agire dell’ente». Proseguendo sul punto, riguardo gli affidamenti diretti, sempre il collegio aggiunge che «una logica di asservimento agli interessi della criminalità organizzata che costituisce un abuso dell’art. 36 del Codice degli Appalti Pubblici, giacché sottrae costantemente gli affidamenti ad una competizione che normalmente determina l’abbassamento dei prezzi; inoltre è evidente che gli affidamenti diretti consentono di scegliere il beneficiario del contratto». Anche l’obiezione della sistematica richiesta della certificazione antimafia, non è stata convincente, in quanto «essa costituiva un obbligo al quale gli organi comunali non avrebbero potuto sottrarsi, senza suscitare interrogativi». Peraltro in alcuni casi la normativa in materia sarebbe stata aggirata «poiché con il pretesto di una (dubbia) urgenza, alcuni affidamenti diretti e provvisori sono stati rinnovati ad operatori già destinatari di interdittiva antimafia». I giudici concludono poi affermando che, oltre all’asservimento dell’Amministrazione agli interessi di queste cooperative, «è anche presumibile che da tali operazioni il Comune abbia ricevuto pregiudizio economico, essendo mancata, in un caso, la concorrenza e, nell’altro caso, essendo stato il servizio aggiudicato con un ribasso irrisorio».

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