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    Le nuove sfide della scuola, fra DaD, DDI e non solo. Conversazione con il prof. Trifone Gargano

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    L’emergenza sanitaria globale ha messo a soqquadro le nostre esistenze, ponendoci davanti, giocoforza, a dei cambiamenti. Fra gli esempi lampanti a testimonianza di ciò è quanto sta accadendo nel mondo della scuola. Dalla scorsa primavera, ormai, abbiamo dovuto far nostre nuove abitudini, nuove terminologie ed acronimi mai sentiti prima. A far capolino nella quotidianità di insegnanti, studenti di ogni età e famiglie sono state le sigle DaD e DDI, spesso (e comprensibilmente) confuse fra loro. Se DaD sta per Didattica a Distanza’, modalità di insegnamento/apprendimento svolta interamente attraverso piattaforme digitali, DDI sta, invece, a significare ‘Didattica Digitale Integrata’, modalità didattica che integra i suddetti momenti di insegnamento/apprendimento a distanza ad attività svolte in presenza, in classe o in altri ambienti della scuola. Quelli trascorsi, gli ultimi dell’anno scolastico passato ed i primi di quello in corso, sono stati mesi che, con un eufemismo, potremmo definire difficili per la scuola italiana. E, guardando cos’è accaduto in Puglia, si è assistito soltanto poche settimane fa ad una battaglia istituzionale tra governo centrale e governo regionale, a colpi di ordinanze, ricorsi e ordinanze riformulate che, a prescindere da come la si pensi, non ha fatto altro che alzare un polverone che ha ulteriormente disorientato famiglie ed addetti ai lavori.

    Sta di fatto che la scuola è chiamata ad affrontare una sfida il cui inizio non è più possibile procrastinare, quella della modernità. Chi frequenta la scuola oggi appartiene alla cosiddetta generazione dei ‘nativi digitali’, una generazione la cui crescita va accompagnata anche attraverso il sostegno di questi nuovi strumenti didattici e proseguendo anche quando questo periodo storico drammatico sarà finito. Chi, da diversi anni, sin da tempi non sospetti, si rivolge a questa generazione è il prof. Trifone Gargano. Insegnante di Lettere presso diverse Scuole Superiori pugliesi e già docente dell’Università degli Studi di Foggia, Gargano è stato un vero pioniere della didattica che abbraccia la tecnologia. Nella sua prolifica produzione manualistica a riguardo, è da segnalare «La letteratur@ al tempo di Facebook-Scrivere, leggere e insegnare storie da Omero al web 2.0» (Progedit, 2014). Per provare a vederci chiaro, capire cosa la scuola abbia fatto finora, durante questa emergenza, e provare ad immaginarne il futuro, abbiamo voluto che ci dicesse la sua.

    Professore, innanzitutto grazie. Le chiedo di dare un voto a quanto fatto dalla scuola italiana in questi primi due mesi parecchio complicati.

    «Al MIUR (che, nel frattempo, ha pure cambiato, ridicolmente e inopportunamente, nome in MI, come se non ci fossero state, in questi mesi, ben altre urgenze da affrontare, che la divisione del ministero, da uno in due), assegno un 3. Alla scuola viva, invece, quella formata dall’intera comunità di studenti, famiglie e docenti, assegno un 10, per lo sforzo titanico compiuto (e che ancora si sta compiendo), pur tra difficoltà e contraddizioni».

    Qual è stata finora, invece, la sua personale esperienza con la didattica digitale?Che valutazione dà?

    «Io sono tra quei docenti (e non siamo pochi, per fortuna) che con la tecnologia digitale hanno sempre avuto un rapporto, sia pur critico, ma di grande accettazione, di sfida. Da più di vent’anni, infatti, nella didattica quotidiana di classe, e nella formazione dei docenti (oltre che nella mia lunga esperienza di docenza universitaria), mi sono sempre interrogato sull’utilizzo di questi strumenti, che, di anno in anno, diventavano sempre più versatili e performanti (dal DOS, ai sistemi Windows, e così via, con applicazioni sempre più dedicate alla didattica, speciale e no). Restare docenti disciplinari, utilizzando questi nuovi strumenti, nel caso mio, continuare a perseguire le “abilità di base” (ascoltare, parlare, leggere e scrivere) attraverso il PC, il tablet, il cellulare. Insegnare lingua e letteratura con Internet, e con i social network più recenti (Facebook, Twitter, Instagram, etc.). La pandemia, con relativo lockdown, ha dato un’improvvisa (e necessaria) accelerazione a tutto questo processo di innovazione. Dal giorno alla notte, infatti, ci siamo trovati, tutti, nella necessità di (saper) gestire piattaforme digitali, app e tool per l’insegnamento e per l’apprendimento. Anche in questo caso, la scuola viva ha saputo rimboccarsi le maniche, e affrontare la (necessaria) sfida, correndo ai ripari (in termini di dotazioni Hardware, e di formazione Software, e psico-pedagogica e metodologica). Di certo, la scuola è vicinanza, contatto fisico, condivisione, prossimità e non distanziamento, o, peggio ancora DaD (Didattica a Distanza); ma, in casi come quello che stiamo vivendo, a livello globale, dobbiamo mantenerci bassi, e fare di necessità virtù. Verrà il tempo per riflettere, anche in modo critico e, quindi, per discernere e valutare ciò che ha funzionato e ciò che, invece, ha difettato. In ogni caso, il mondo non tornerà più alla situazione precedente alla pandemia, e questo non solo per il mondo della scuola (o, più in generale, della formazione). Molte cose cambieranno (direi, sono già cambiate). Quindi, dopo, servirà un supplemento di ragione, per porre le basi di un nuovo inizio (un nuovo umanesimo), senza buttar via, scioccamente, con l’acqua sporca, anche il bambino. Alla DaD e alla DDI assegno un 7».

    Com’è possibile sviluppare competenze sociali in DaD e DDI?

    «Può sembrare paradossale, ma in DaD, e, soprattutto, in DDI, a mio giudizio le competenze sociali verrebbero maggiormente esaltate, proprio perché la tecnologia digitale (e, soprattutto, Internet) consente, a chi lo voglia, e a chi è stato educato a farlo, di interagire con il mondo intero. Il WWW, infatti, è una ragnatela globale, che consente, con pochi click, di interagire sulle questioni del proprio paese, della propria regione, nazione, del pianeta intero. Grazie a una connessione Internet, si è, per davvero, cittadini del mondo. Cittadini attivi, in grado, cioè, di intervenire e dire la propria sulle questioni del pianeta. Tutto questo implica, però, una educazione ai media digitali, da parte della famiglia e della scuola, che non sia meramente strumentale (da giocattolino di lusso: la play-station per il passatempo), ma sociale e politica. A questa urgenza etica ed educativa siamo chiamati, in quanto adulti (genitori, educatori, docenti), tutti (inclusi i così detti mass-media)».

    Come si concilia la disomogeneità degli strumenti a disposizione degli studenti con la personalizzazione ed individualizzazione che i docenti dovrebbero attuare nei loro confronti?

    «La disomogeneità che mi preoccupa è solo quella derivante dal mancato possesso, da parte delle famiglie italiane, degli strumenti Hw, e dell’accesso alla connessione Internet. Disomogeneità per la quale i decisori politici (comunali, regionali, nazionali ed europei) devono impegnarsi a colmare, con piani straordinari di modernizzazione. Al contrario, invece, nella dimensione strettamente didattica (e metodologica), le tecnologie digitali esaltano l’individualizzazione dell’insegnamento/apprendimento. Non mi soffermo su questo, sia perché ritengo che questa mia affermazione sia facilmente verificabile (per chi ha esperienza di classe, e dell’utilizzo efficace di app e tool dedicati alla didattica), sia perché avrei bisogno di molto più spazio, per fornire esemplificazioni concrete».

    In conclusione, spostiamo il focus sulle iniziative didattiche che lei propone attraverso la rete. Sulle sue pagine social, sempre molto prolifiche da questo punto di vista, ha lanciato da qualche tempo la sigla DaD. L’acronimo però non sta per ‘Didattica a distanza’, bensì ‘Dante a domicilio’. Può dirci un po’ cosa sta bollendo in pentola?

    «Grazie, per queste parole affettuose, e di condivisione, indirizzate alle mie varie proposte social-didattiche. Per usare la metafora della pentola, debbo confessarti che, sì, in pentola bollono parecchie novità, anche perché ci stiamo avvicinando al settecentenario dantesco (1321-2021), ed io che sono un divulgatore pop dell’opera di Dante non posso farmi trovare impreparato. L’acronimo DaD, nella mia interpretazione, l’hai appena ricordato; adesso, allora, ti sciolgo l’altro acronimo ministeriale, DDI (Didattica Digitale Integrata), che per me sta per Didattica Dantesca Integrale (e, infatti, sta per uscire, in edizione popolare, cioè economica, una mia edizione della Divina Commedia, con l’offerta integrale della parafrasi, in modo da mettere chiunque nella condizione di leggere per intero il poema, e di comprenderlo, non solo per i canti, o per i passi, più noti e pop, ma in modo, appunto, integrale). E poi teatro, social network, strade, crocicchi, piazze, flash-mob, performance d’ogni tipo. Per tornare, tutti e finalmente, “a riveder le belle stelle”».

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