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    Libera, in Puglia il 42% dei beni confiscati alla mafia è ancora da destinare

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    Sono 2629 i beni immobili (particelle catastali) confiscati dal 1982 ad oggi in Puglia, il 58% sono stati destinati dall’Agenzia nazionale per le finalità istituzionali e sociali, il 42% rimangono ancora da destinare. La provincia di Bari risulta quella con il maggior numero di beni confiscati destinati per finalità istituzionali e sociali con 495 beni mentre sono 211 quelli ancora da destinare; segue la provincia di Brindisi con 452 beni destinati e 95 ancora da destinare. La provincia di Lecce risulta quella con il maggior numero di beni confiscati da destinare (265). Sono invece 221 le aziende confiscate di queste il 50% è stata già destinata alla vendita o alla liquidazione, all’affitto o alla gestione da parte di cooperative formate dai lavoratori delle stesse. Anche qui la provincia di Bari risulta quella con maggior numero di aziende già destinate alla vendita o alla liquidazione, all’affitto o alla gestione da parte di cooperative formate dai lavoratori delle stesse (34) mentre sono 35 quelle ancora in gestione presso l’Anbsc. Libera presenta il dossier Fattiperbene la fotografia del riutilizzo sociale dei beni confiscati in Italia in occasione dei 25 anni dall’approvazione della legge n.109 del 7 marzo 1996.

    A venticinque anni dall’approvazione della Legge 109 del 1996 – commenta Libera– è certamente possibile fare un bilancio sul riutilizzo sociale dei beni confiscati in Italia, evidenziando innanzitutto le positività di un percorso e di tante esperienze nate grazie alla presenza di beni – immobili, mobili e aziendali – sottratti alla disponibilità delle mafie, delle varie forme di criminalità economica e finanziaria (dal riciclaggio all’usura, dal caporalato alle ecomafie) e di corruzione. Beni che sono diventati opportunità di impegno responsabile per il bene comune. Ma il contributo che il sempre più vasto patrimonio dei beni mobili, immobili e aziendali sequestrati e confiscati alle mafie, alla criminalità economica e ai corrotti può apportare agli sforzi per assicurare una ripresa nel nostro Paese post pandemia, sarebbe sicuramente maggiore se tutti i beni fossero rapidamente restituiti alla collettività e le politiche sociali diventassero una priorità politica a sostegno dei diritti all’abitare, alla salute pubblica, alla sostenibilità ambientale, al lavoro dignitoso ed ai percorsi educativi e culturali. Nel dossier Libera elabora i dati dell’Agenzia Nazionale: sono 36.616 i beni immobili (particelle catastali) confiscati dal 1982 ad oggi. Circa 17.300 sono stati destinati dall’Agenzia nazionale per le finalità istituzionali e sociali mentre sono 19.309 beni immobili in gestione all’Agenzia (dati aggiornati al 2 marzo 2021), di cui più di 11.000 confiscati in via definitiva (dati al 31 dicembre 2019) e che rimangono ancora da destinare perché presentano varie forme di criticità (per quote indivise, irregolarità urbanistiche, occupazioni abusive e per condizioni strutturali precarie) oppure restano accantonati in attesa delle verifiche dei creditori. Secondo una ricognizione avviata nel corso del 2019 dall’Agenzia nazionale su un campione di indagine di circa 6.000 beni immobili destinati alle amministrazioni comunali, dai riscontri pervenuti su 2.600 beni, risulta che soltanto poco più della metà dei beni è stato poi effettivamente riutilizzato. Dalle relazioni annuali dei Commissari straordinari di Governo e dell’Agenzia nazionale è possibile anche tracciare l’andamento storico delle confische e delle destinazioni, a partire dal 1982 fino ad oggi.

    In particolare, dal 1982 al 1996 ci sono state 1263 confische e 34 destinazioni: erano i primi anni di applicazione della legge Rognoni-La Torre, durante i quali non era ancora in vigore la legge per il riutilizzo sociale. Nella seconda decade, dal 1996 al 2008 aumentano notevolmente i numeri e nel solo anno 2001 si arriva addirittura a 1023 confische e 315 destinazioni. Negli anni successivi fino al 2019, ultimo anno per cui si dispone della relazione dell’Agenzia, viene riportato solo il dato relativo alle destinazioni, che raggiunge le 1512 nel 2019. L’andamento storico delle destinazione dei beni mobili registrati è tracciabile dal 1982: nella relazione 2017-2018 dell’Agenzia nazionale, infatti, viene riportato che fino al 2018 sono stati destinati 3.829 beni mobili di diversa tipologia, con queste percentuali: Distruzione/Demolizione: 42.07%; Comodato gratuito: 20,55%; Vendita: 18,65%; Assegnazione forze dell’ordine: 14,60%; Cessione ai VVFF e soccorso pubblico 4,12%.

    Sul fronte delle aziende – commenta Libera- la maggior parte delle aziende confiscate giungono nella disponibilità dello Stato prive di reali capacità operative e sono spesso destinate alla liquidazione e chiusura, se non si interviene in modo efficace nelle fasi precedenti. Molte però sono scatole vuote, società cartiere o paravento per le quali risulta impossibile un percorso di emersione e continuità produttiva. Su un totale di 4.384 aziende confiscate dal 1982 ad oggi, quelle destinate sono state quasi tutte liquidate. Ne rimangono in gestione all’Agenzia altre 2.919. Di queste però, secondo i dati risalenti a un anno fa, 1.931 aziende erano in confisca definitiva e solo 481 risultavano attive. Come nel caso degli immobili, anche per le aziende confiscate è possibile rintracciare una progressione storica delle destinazioni: è interessante come negli anni dal 2008 al 2019 si sia passati dalle 5 del 2010 alle 441 del 2019.

    “In questi 25 anni – commenta Luigi Ciotti, presidente nazionale di Libera – abbiamo assistito a un lavoro straordinario: il lavoro della magistratura e delle forze di polizia per individuare i beni frutto degli affari sporchi delle mafie, e renderne operativa la confisca; il lavoro di associazioni ed enti pubblici per restituire davvero quei beni alla gente, trasformandoli in scuole, commissariati, centri aggregativi per giovani e anziani, realtà produttive che offrono lavoro pulito e rafforzano il tessuto sociale ed economico dei territori. Un enorme lavoro corale, insomma, che dopo 25 anni ci chiede però uno scatto ulteriore di impegno, intelligenza e determinazione. La legge può essere migliorata, potenziata sia nel dispositivo che soprattutto nell’attuazione. C’è una debolezza strutturale dello Stato nei confronti delle mafie che vive di lungaggini burocratiche, disordine normativo, competenze non sempre adeguate. Non possiamo permettere che tutto questo si traduca in un messaggio pericoloso: cioè che la 109 è un bluff, uno specchietto per le allodole, nient’altro che un giocattolino per illudere gli onesti”. Nel dossier Libera ha mappato le esperienze di riutilizzo dei beni confiscati per finalità sociali per raccontare una nuova Italia, che si è trasformata nel segno evidente di una comunità alternativa a quelle mafiose, che immagina e realizza un nuovo modello di sviluppo territoriale. Libera ha censito 867 soggetti diversi del terzo settore impegnati nella gestione di beni immobili confiscati alla criminalità organizzata, ottenuti in concessione dagli enti locali, in ben 17 regioni su 20. In Puglia sono stati censiti 89 realtà sociali che gestiscono beni confiscati alle mafie. Mediamente nel campione del censimento di Libera tra il sequestro e l’effettivo riutilizzo sociale trascorrono ben 10 anni.

    A venticinque anni di distanza dall’approvazione della legge per il riutilizzo sociale, oggi presa a modello in Europa ed a livello internazionale come Libera evidenziamo alcuni punti rispetto ai quali chiediamo: Mafie e corruzione stanno approfittando sempre di più dell’emergenza sanitaria e della crisi economica e sociale, per questo chiediamo l’effettiva estensione ai “corrotti” delle norme su sequestri e confische previste per gli appartenenti alle mafie, con la loro equiparazione e l’attuazione della riforma del codice antimafia nelle sue positive innovazioni. L’assegnazione di adeguati strumenti e risorse agli uffici giudiziari competenti e all’Agenzia nazionale in tutto il procedimento di amministrazione dei beni, prevedendo il raccordo fra la fase del sequestro e della confisca fino poi alla destinazione finale del bene ed assicurando il necessario supporto agli enti locali. La piena accessibilità delle informazioni sui beni sequestrati e confiscati e la promozione di percorsi di progettazione partecipata del terzo settore e di monitoraggio civico dei cittadini. La destinazione di una quota del Fondo Unico Giustizia, delle liquidità e dei capitali confiscati ai mafiosi e ai corrotti, per rendere fruibili i beni mobili ed immobili e sostenere la continuità delle attività aziendali, tutelandone i lavoratori, nonché per dare supporto a progetti di imprenditorialità giovanile, di economia e inclusione sociale e l’utilizzo delle risorse previste per la valorizzazione sociale dei beni confiscati nella proposta di Piano nazionale di ripresa e resilienza Next Generation Eu, assicurando un percorso di trasparenza e di partecipazione civica nella progettazione e nel monitoraggio.

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