Trent’anni di carcere più tre di ricovero in una REMS. È questo il verdetto emesso lo scorso 28 ottobre dalla Corte di Assise di Foggia (presidente dott. Antonio Civita, giudice a latere dott.ssa Maria Giovanna Gallipoli) a carico di Angelo Di Meo, imputato dell’omicidio di sua moglie Nunzia Compierchio.
IL PROCESSO
Accolte in toto le richieste del Pubblico Ministero. La condanna è per il reato di omicidio volontario aggravato da futili motivi, mentre è stata esclusa la premeditazione. I giudici hanno però riconosciuto il vizio parziale di mente dell’imputato, accertato da una perizia svolta durante la fase delle indagini preliminari. Per questo hanno disposto il ricovero del quarantaquattrenne, al termine dell’espiazione della pena, in struttura sanitaria per gli autori di reato affetti da disturbi mentali per tre anni. Nel processo, che si è svolto con rito ordinario ai sensi della nuova disciplina che vieta la concessione dell’abbreviato per i delitti astrattamente punibili con l’ergastolo, si sono costituiti parte civile i parenti e i figli della vittima, rappresentati in giudizio dagli avvocati Vincenzo Totaro e Giovanni Quarticelli, penalisti del foro di Foggia. In loro favore è stata disposta una provvisionale di 100.000 euro.
IL FATTO
La tragedia era accaduta in un pianterreno di via Fabriano il pomeriggio del 5 luglio 2020 quando Di Meo, che aveva alle spalle precedenti per droga ed estorsione, esplose cinque colpi di pistola calibro 3.80 contro la moglie, Nunzia Compierchio, quarantunenne. L’omicida avrebbe commesso il fatto perché non accettava la fine della loro relazione. In casa, al momento della sparatoria, erano presenti i loro figli minori, mentre il maggiore era detenuto. Rintracciato dalle Forze dell’Ordine nella dimora paterna, in un primo momento Di Meo si era avvalso della facoltà di non rispondere, salvo ammettere la propria responsabilità alla Polizia in un secondo momento.