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    “Sotto padrone”, il libro-inchiesta del sociologo Marco Omizzolo presentato a Cerignola

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    Ha avuto luogo nella serata di sabato 2 aprile, presso la libreria ‘L’albero dei fichi’ a Cerignola, un importante incontro: la presentazione di «Sotto padrone-Uomini, donne e caporali nell’agromafia italiana» (Fondazione Giangiacomo Feltrinelli), libro-inchiesta di Marco Omizzolo, sociologo, ricercatore Eurispes, presidente della Cooperativa In Migrazione e dell’Associazione Tempi Moderni. L’evento si inserisce nel progetto “Il viaggio di un pomodoro”, realizzato con il sostegno della Regione Puglia grazie alla legge regionale 32/2014 “Disposizioni per il sostegno e la diffusione del commercio equo e solidale”. Il libro è un viaggio nel torbido mondo delle agromafie, tra caporali che lucrano sul lavoro di donne e uomini, spesso stranieri, sfruttati nelle serre italiane. Ragazzi che muoiono di fatica, letteralmente, donne che subiscono continui ricatti e abusi sessuali, braccianti non più giovani indotti ad assumere sostanze dopanti per sostenere ritmi di lavoro schiavisti: sulla pelle di questi esseri umani si alimenta un sistema con il quale padroni e padrini si spartiscono un bottino di circa 25 milioni di € l’anno. Marco Omizzolo, dialogando con Pietro Fragasso, presidente della Cooperativa Sociale Pietra di Scarto, ha raccontato alcuni degli aspetti salienti della sua inchiesta svolta sul campo, da infiltrato tra i braccianti indiani dell’Agro Pontino fino a giungere nella regione indiana del Punjab, sulle tracce di un trafficante di esseri umani.

    «La ragione ufficiale per cui il mio lavoro è partito è stata la mia tesi di dottorato. Nel 2009 decido di occuparmi della comunità di braccianti indiani nella provincia di Latina, che è casa mia – afferma l’autore a lanotiziaweb.it -. Con un agire interrogativo (perché sono qui? cosa vogliono? da dove arrivano? dove lavorano?) ho iniziato a frequentarli. Ho vissuto un anno e mezzo con loro, ho lavorato da infiltrato nelle campagne pontine e l’ho fatto sotto padrone, da qui il titolo del libro. Questo mi ha permesso di scoprire questo fenomeno. Da lì è iniziata una riflessione, un approfondimento che mi ha permesso di indagare, di comprendere, ma anche di denunciare le gravi condizioni di lavoro e di vita che caratterizzano questa comunità. E non soltanto questa comunità». Dai braccianti indiani sfruttati nel Lazio a quelli, per lo più di origine africana, finiti nella stessa trappola in Puglia durante la campagna del pomodoro, vi sono inquietanti tratti in comune: «Ce ne sono purtroppo diversi e sono collegamenti ripetuti nel tempo. Il fenomeno si è ormai insediato ed è caratteristico di un certo modello non soltanto di agricoltura, ma di impresa e di società. Un modello fondato sull’emarginazione, sulla discriminazione, sull’assenza di servizi, sulla ghettizzazione, sulla violazione di diritti fondamentali. Ci sorprendiamo poi quando questi uomini e queste donne si organizzano e a volte protestano, ma è esattamente la conseguenza dell’emarginazione alla quale li condanniamo. C’è grave povertà, ho lavorato con persone che venivano pagate 50 centesimi l’ora. Sono persone finite dentro una bolla in cui vengono impiegate in condizioni paraschiavistiche. Questo è inaccettabile in qualunque latitudine del nostro Paese e del mondo intero».

    Il termine ‘agromafia’ indica la presenza di organizzazioni criminali dietro questi fenomeni: «Secondo gli ultimi studi, ci sono addirittura 26 clan direttamente interessati. Ma guardate, per agromafia non s’intende solo l’organizzazione mafiosa in sé ma anche un’organizzazione sedimentata, rodata, fondata sulla violenza, sulla prevaricazione, sullo sfruttamento, che caratterizza un modo di stare al mondo e di fare impresa, nel Sud come nel Nord». Tante sono state le vicende umane conosciute e raccontate dall’autore, una lo ha particolarmente toccato: «Un bracciante agricolo che per 6 anni, come riconosciuto dal Tribunale di Latina, ha vissuto in schiavitù. Era retribuito tra i 50 e i 150 € al mese per lavorare 18 ore al giorno. Abitava in una roulotte senza luce, acqua e gas, minacciato di morte con una pistola usata nella strage di Duisburg. Quest’uomo ha avuto il coraggio e la forza di non lasciarsi andare, di ribellarsi e, attraverso un percorso che abbiamo messo in campo insieme, ha deciso di denunciare il padrone-padrino, un boss mafioso vero. Ha ottenuto il suo arresto, si è costituito parte civile nel processo e ha avuto un permesso di soggiorno per motivi di giustizia. È passato dal buio della schiavitù alla luce della democrazia. Questo è l’esempio più classico di un percorso difficile, di lotta, di emancipazione, non impossibile ma assolutamente possibile». Dall’opera di Marco Omizzolo giunge quindi forte l’appello a «piantare i nostri occhi in quelli dell’altro», a combattere con coraggio le ingiustizie, a non perdere mai la speranza in una società migliore perché equa. Questi sono stati alcuni dei pilastri su cui si è sorretto lo sciopero generale dei braccianti indiani contro i padroni a Latina, il 18 aprile 2016. Si trattò di una delle più grandi manifestazioni organizzate in tal senso in Italia, alla quale ha preso parte in prima persona anche lo stesso Omizzolo. Duemila lavoratori, sostenuti dalla Flai-Cgil, scesero in piazza chiedendo condizioni di lavoro dignitose e un salario equo.

    Ma si può fare tanto anche nel quotidiano, da comuni cittadini: «Prendere coscienza, informarsi, partecipare ad iniziative come queste, domandarsi in che Paese si vive, che genere di consumi acquistare ogni giorno, domandarsi che qualità della politica c’è nel proprio Paese, le politiche che la propria Amministrazione mette in campo di legalità, giustizia, welfare sociale, se vanno in favore di tutti o solo di alcuni. Già questo – conclude Omizzolo – significa aprire uno spazio di emancipazione rispetto all’idea standard del cittadino passivo. Diventare cittadini attivi e consapevoli di questo fenomeno è un primo passo fondamentale per cambiare le cose».

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