La mafia cerignolana è sempre più centrale nelle dinamiche criminali pugliesi. E’ quanto riferiscono gli uomini della Direzione Investigativa Antimafia, nella relazione semestrale al Parlamento. L’ascesa dei clan del centro ofantino, che gli inquirenti identificano in quelli storici dei Di Tommaso e Piarulli-Ferraro «deriverebbe da un ormai radicato controllo del territorio affiancato, nel tempo, da un modello organizzativo flessibile che le consentirebbe di rimodulare costantemente gli assetti in funzione degli obiettivi da raggiungere». Un assetto che, secondo la DIA, ha permesso loro di assumere il ruolo di «polo di coesione tra gruppi criminali, non solo della provincia di Foggia ma anche di Bari e della limitrofa BAT, si riscontra anche nella propensione ad assoldare quella criminalità comune attiva nel settore dei pezzi di ricambio di veicoli rubati».
L’INFLUENZA NEL FOGGIANO E NELLA BAT
L’operazione “Decimabis” ha documentato i legami della malavita cerignolana con la batteria foggiana Moretti-Pellegrino-Lanza, mentre altre inchieste hanno dimostrato come il clan egemone ad Ortanova, quello dei Gaeta, nel tempo sia stato capace di «mutuare i modelli affaristici della malavita cerignolana, dalla quale i Gaeta provengono e rimangono tradizionalmente legati». Anche la famiglia Masciavé di Stornara e il clan De Rosa-Miccoli-Buonarota di Trinitapoli sembrano essere legati ai clan cerignolani. Nella BAT, invece, «ad Andria la locale criminalità organizzata, in rapporti privilegiati con la malavita cerignolana, intrattiene relazioni, soprattutto nell’ambito degli stupefacenti e in quello dei reati predatori». Mentre, «nello scenario criminale di San Ferdinando di Puglia sembrerebbe ancora attivo un gruppo capeggiato da un elemento referente della malavita cerignolana per l’intera valle dell’Ofanto».
OLTRE REGIONE: I LEGAMI CON LA ‘NDRANGHETA
Secondo gli inquirenti, la malavita cerignolana intesse ormai stabilmente rapporti con cosche anche oltre regione. Il suo pragmatismo, infatti, le ha permesso «di diversificare le attività illecite e di specializzarsi negli assalti ai portavalori ed ai caveau al punto da costituire un qualificato punto di riferimento anche per le altre matrici mafiose nazionali». In tal senso, gli inquirenti richiamano l’inchiesta “Polifemo” (2021) che ha sventato una rapina ad un Istituto di vigilanza in provincia di Brescia, pianificata da un sodalizio criminale composto da un soggetto riconducibile alla cosca ‘ndranghetista Pelle-Gambazza e un gruppo di pregiudicati cerignolani specializzati negli assalti a furgoni blindati e caveau; tutti considerati vicini ai clan Di Tommaso e Piarulli-Ferraro. Questa operazione, e il processo che ne è conseguito, sono solo l’ultima prova della preoccupante sinergia tra malavita cerignolana e ‘ndrine calabresi, già documentata dalle operazioni “Keleos” (2016) e “Sicurtransport” (2018).