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    “Una promessa per Hyso”: ricordo, testimonianza e riflessione a 25 anni dalla morte del giovane albanese

    Un’iniziativa che ha coinvolto Diocesi, associazioni, istituzioni, volontari e personalità del campo, rivolta alla cittadinanza, per ricordare e riflettere sulla vicenda di Hyso Telharaj e di tutte le vittime innocenti di caporalato

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    Hyso Telharaj, ma anche Jerry Masslo, Paola Clemente, Satnam Singh e le tante, troppe vittime innocenti del caporalato nel nostro Paese. Nel tardo pomeriggio di venerdì 6 settembre, presso l’Episcopio della Diocesi di Cerignola-Ascoli Satriano, ha avuto luogo un momento di riflessione comune sul tema, dal titolo «Una promessa per Hyso. Racconti e testimonianze a venticinque anni dalla morte di Hyso Telharaj, vittima innocente di caporalato», condotto da Pietro Fragasso, presidente della Cooperativa Sociale ‘Pietra di Scarto’. L’iniziativa non si inserisce a caso nel periodo della festa patronale, dato che Hyso Telharaj perse barbaramente la vita proprio in questi giorni, venticinque anni fa. Partito dall’Albania con l’obiettivo di diplomarsi come geometra, per pagarsi gli studi inizia a lavorare nella raccolta del pomodoro nelle campagne fra Cerignola e Borgo Incoronata. Hyso è un ragazzo mite, sempre cordiale con tutti e dal temperamento forte. Non sa però che la vita del bracciante agricolo, specie quello straniero, è tutt’altro che semplice, soprattutto quando si ha a che fare con i caporali. Rifiuta infatti di abbassare la testa dinanzi a loro, non cedendogli parte dei suoi sudati guadagni. Hyso forse non si rende conto del suo atto di rottura che mina quel sistema marcio messo su dai suoi aguzzini. La sera del 5 settembre 1999 viene messo al corrente di essere in serio pericolo e perciò gli è consigliato di scappare. Lui però non lo fa. I suoi caporali lo raggiungono e lo picchiano con brutale violenza, provocandogli ferite gravissime. Muore dopo tre giorni di agonia, l’8 settembre, a soli 22 anni.

    «È grave che nella città di Di Vittorio non sia purtroppo cambiato nulla – afferma Mons. Vincenzo D’Ercole, vicario della Diocesi, aprendo l’incontro con un riferimento ai circa 150 braccianti di origine nordafricana, accampati in questi giorni in contrada Santo Stefano in condizioni a dir poco precarie -. Il caporalato è un male, è la mancanza di rispetto della dignità della persona, è un freno per lo sviluppo». Il sindaco di Cerignola, Francesco Bonito, sottolinea invece come la vicenda di Hyso Telharaj «abbia ferito l’immagine della nostra terra. Perché non riusciamo a fare passi avanti? Perché è la politica a non compierli, anzi va indietro. Non accettiamo quella che è una realtà storica, il transitare dei popoli. Non accettiamo ancora il mondo come villaggio globale». Non poteva mancare la voce di ‘Libera Foggia’ che, attraverso la sua referente Annamaria Padalino, testimonia l’importanza di «ricordare le vittime innocenti di mafie non per la loro morte, bensì per quella che è stata la loro storia in vita». Ulteriore stimolo al ricordo e alla riflessione è quello rappresentato dagli spazi di reading teatrale a cura di Mariantonietta Mennuni e Maria Sica, che hanno portato in scena le vicende di Paola Clemente (bracciante che ha perso la vita per l’eccessiva fatica nelle campagne di Andria nell’estate del 2015, ndr) e di altre vittime di caporalato.

    Con un video, ha tenuto a fornire la propria testimonianza Ajada Islamaj, studentessa albanese che diversi anni fa contribuì alla ricostruzione della storia di Hyso, grazie al suo operato da volontaria per Libera Terra a Mesagne sui terreni confiscati alla Sacra Corona Unita. Fu in quel luogo che scoprì dell’esistenza di un vino chiamato Hyso. Ne prese una bottiglia e, tornata in Albania, cercò la sua famiglia, cosa che l’ha portata ad incontrare due sue sorelle e un fratello. I familiari giunsero così nella nostra regione, nel 2016, visitando sia il luogo dove Hyso trascorse i suoi ultimi giorni e venne assassinato, sia la cantina del brindisino dove viene prodotto quel buon vino che porta il suo nome. «La conoscenza della storia di Hyso è stata un momento di grande crescita per me, anche per la consapevolezza di cosa poteva rappresentare il mio ruolo in questa terra», afferma Daniela Marcone, referente della memoria di ‘Libera’. «Questa è stata a lungo una provincia “abituata” alla morte dei braccianti. La storia di Hyso ci aiuta a guardare con un occhio più giusto le altre, quelle che feriscono ancora il nostro territorio». Daniela Marcone si fa inoltre portavoce di una lettera che Polikseni Telharaj, sorella di Hyso, ha voluto far recapitare per questo incontro: «Insieme all’orgoglio per il suo ricordo cresce la tristezza per la sua assenza, per i giorni felici che avrebbe voluto vivere e condividere con noi. Soprattutto pesa sui nostri cuori la vita che ha perso, che lui amava come nessun altro, interrotta da esseri crudeli che non meritano di essere chiamati uomini. Tutto l’impegno e il lavoro di Libera in sua memoria sono un sollievo per il dolore continuo dei familiari, oltre che la sensibilizzazione per le generazioni future affinché gesti del genere non si ripetano».

    Della lotta al caporalato ha fatto una missione il Procuratore Capo della Repubblica di Foggia, Ludovico Vaccaro: «Il caporalato è lo sfruttamento del lavoratore nel momento del bisogno. È una violazione sistematica e ripetuta delle norme basilari, fino al punto di reprimere la dignità. I serbatoi di questo fenomeno sono i ghetti. È un male che si combatte non soltanto con le inchieste giudiziarie, ma con norme efficienti che oggi mancano. Un esempio? I pagamenti dei lavoratori devono essere tracciabili». Un attento e accurato sguardo sul fenomeno ci è fornito anche dal giornalismo d’inchiesta, grazie a Toni Mira, caporedattore di ‘Avvenire’: «Queste storie vanno ascoltate con gentilezza, come ci dice Papa Francesco. Da qui si deve partire per costruirne di migliori. Ho girato tanto nei ghetti, in tutta Italia, e purtroppo vi ho incontrato anche la morte. Passano gli anni ma scriviamo ancora le stesse storie».

    «Negli anni che ci portano dalla morte di Hyso ad oggi, questo Paese in sostanza non è cambiato, così come non sono cambiati coloro che anziché imprenditori si considerano padroni» – sottolinea Marco Omizzolo, sociologo, ricercatore Eurispes ed esperto delle dinamiche sullo sfruttamento lavorativo nell’Agro Pontino -. «Il mondo è cambiato ma abbiamo ancora a che fare con padroni, trafficanti e caporali, anche per responsabilità di un Paese che mantiene delle leggi inique, ingiuste e che spesso producono tutto questo: penso alla Bossi-Fini, ma non solo. La politica non si è messa in discussione. Anzi, una parte di essa ha sviluppato linguaggi razzisti e xenofobi, slogan come ‘l’Italia agli italiani’, ‘prima gli italiani’, l’idea di ‘sostituzione etnica’ o ‘carico residuale’. Questo ha fatto sorridere i padroni e fatto preoccupare gli sfruttati di questo Paese. Tutto ciò è parte di una riflessione che con molta onestà dobbiamo iniziare a fare». A concludere una serata intensa e significativa è don Pasquale Cotugno, il direttore della Caritas Diocesana che ogni giorno si spende in soccorso degli sfruttati: «Non me la sento di fare una promessa a Hyso, ma rinnovo l’impegno a dar voce a chi viene sfruttato, a coalizzare le nostre forze, a lottare insieme per vincere. Perché camminando da soli si diventa deboli e diventa debole il territorio».

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