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    Cerignola, assalti a blindati a caveau sulle colonne del Fatto Quotidiano

    Ancora una volta Cerignola finisce sulle pagine delle testate nazionali, ancora una volta per fatti legati alla criminalità organizzata

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    Cerignola si guadagna nuovamente l’attenzione di un quotidiano nazionale che, purtroppo, accende i riflettori sul tema criminalità organizzata. A finire sotto la lente del Fatto Quotidiano è la ben nota questione delle bande criminali che organizzano e mettono a segno spettacolari e pericolosi assalti a portavalori e caveau, in Italia e non solo. Consorzi criminali, come sottolinea l’articolo, “la cui mente (e spesso le braccia) sono nel paese del Foggiano, dove esiste la quarta “testa” della mafia foggiana”. Nell’articolo a firma di Andrea Tundo, si tratteggia anche una sorta di profilo psicologico dei soggetti coinvolti in queste rapine. Tra di loro si definiscono “artisti” – si legge -, citano spesso le imprese della banda guidata da George Clooney che in Ocean’s Eleven svaligiava i casinò di Las Vegas. La realtà è che sono criminali. Preparatissimi. Con un’organizzazione paramilitare. Armati fino ai denti e senza paura di sparare. Chirurgici e veloci, molto spesso concludono le loro azioni senza spargere sangue e portandosi a casa milioni di euro in pochi minuti”.

    In poche parole, bande composte da criminali sfrontati, con l’abitudine di “fare le cose in grande”. “Se c’è un colpo a un portavalori, a tir carichi di merce preziosa o caveau imbottiti di soldi, di mezzo ci sono loro: i cerignolani, spesso aiutati da ‘amici’ del Nord Barese. Mentre le altre ‘teste’ – Foggia, San Severo, Gargano – della mafia foggiana si dedicano a business altrettanto lucrosi ma più spiccioli, che anche a Cerignola non disprezzano, loro hanno in testa il “colpo grosso”. Tanto che ormai, si racconta in ambienti investigativi, quando c’è una rapina milionaria in giro per l’Italia, la polizia passa al setaccio i movimenti dei banditi del paese foggiano”. E quindi nell’articolo si prova a ripercorre alcuni degli episodi più clamorosi. Il più risalente quello dell’8 marzo 2011 a Poggio Bagnoli, nell’Aretino, quando con una ruspa venne sventrata l’azienda orafa Salp, bottino pari a un quintale e mezzo d’oro. L’elenco continua poi con la lunga serie di assalti in autostrada, quello condotto con kalashnikov e fucili a pompa avvenuto tra i due caselli di Vasto il 14 dicembre 2012 e fruttato 600 mila euro, o quello avvenuto nel settembre 2015 nei pressi di Loreto. In quell’occasione i criminali “misero nel mirino due furgoni della Fitist che viaggiavano con 4,7 milioni di euro. In due minuti esatti bloccarono un’arteria autostradale, misero in azione i jammer per isolare le comunicazioni e, dopo aver speronato i portavalori, azionarono i kalashnikov per intimorire le guardie giurate. Quindi smantellarono i blindati e se ne andarono con le casseforti, coperti dal fuoco di alcune vetture incendiate e dai loro passamontagna”.

    Il più clamoroso però, scrive il Fatto, è quello avvenuto circa un anno dopo sull’A12 quando nel corso dell’assalto, fallito, vennero esplosi 170 colpi di fucile. “Alle 23 in punto scatta l’azione: fingendosi forze dell’ordine, con auto munite di lampeggianti, riescono a isolare 10 chilometri di autostrada tra Rosignano e Collesalvetti, nel Livornese. Almeno in otto, secondo quanto ricostruito dalle squadre mobili di Firenze, Pisa, Ancona e Foggia con gli uomini dello Sco della Polizia. L’obiettivo è un blindato della BTV Mondialpol, ma prima bisogna bloccare il traffico in entrambi i sensi di marcia: il commando costringe gli automobilisti a posizionare le vetture di traverso così da creare code chilometriche, intanto sparge chiodi a 4 punte per evitare l’arrivo di vetture della polizia. A quel punto intercettano il blindato che trasporta 6 milioni di euro. Le guardie giurate non si arrendono e ne nasce un conflitto a fuoco: vengono esplosi 170 colpi di Ak47 e fucile a pompa. Ma per un inconveniente il colpo sfuma”.

    Infatti, per quanto spregiudicate, le bande non sono infallibili e volte rimangono a bocca asciutta, come è accaduto nel febbraio 2018 a Chiasso “quando dopo ore di appostamenti nei boschi svizzeri erano pronti ad abbattere un muro del caveau di una società di trasporto di preziosi per tornarsene in Puglia con 50 milioni di euro in tasca. Il bottino se lo sarebbero spartiti in dieci, dopo mesi di sopralluoghi, preparazione del colpo con auto rubate e già posizionate lungo la strada del ritorno e un marchingegno, il jammer, costato 40mila euro, che consente di disattivare i sistemi di allarme e di disturbare le frequenze di comunicazione. Ma la polizia era sulle loro tracce ed è entrata in azione poco prima del loro blitz svizzero, facendo sfumare quel colpo che – se lo ripetevano mentre erano intercettati – sarebbe stato alla Ocean’s Eleven”. L’ultimo in ordine cronologico è l’ormai celebre colpo al caveau di Catanzaro avvenuto il 4 dicembre 2016. Azione anche questa volta condotta con metodi paramilitari e fruttata un bottino da 8,5 milioni di euro. Proprio poche settimane fa sono arrivate per gli indiziati le sentenze di primo grado nel corso del processo “Keleos”. Per i membri cerignolani sono arrivate condanne da 10 e 12 anni.

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