Nelle prime ore del mattino, i Carabinieri della Compagnia di Cerignola e del Nucleo Ispettorato del Lavoro hanno eseguito una misura cautelare a carico di cinque soggetti, allo stato delle indagini preliminari ritenuti responsabili dei reati di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. L’attività di indagine in questione, diretta e coordinata dalla Procura della Repubblica di Foggia, è durata circa 4 mesi ed ha interessato i comuni di Cerignola, Ortanova e Trinitapoli. Il tutto è iniziato durante l’estate dal 2021 da un controllo eseguito congiuntamente da personale del Comando Stazione Carabinieri di Cerignola e dagli specialisti dell’Arma dell’Ispettorato del Lavoro, con l’ausilio altresì dell’ITL di Foggia e di interpreti OIM, nell’ambito del noto programma interistituzionale “Su.PRE.ME.”, in un campo coltivato a pomodoro, sito in agro del comune di Cerignola, riconducibile ad un’azienda agricola con sede legale in Trinitapoli, nel corso del quale sono stati identificati nove braccianti agricoli di etnia africana intenti in quel contesto all’eradicazione delle erbe infestanti.
Le articolate investigazioni svolte, consistite in attività ispettiva, di osservazione ma anche con l’ausilio delle intercettazioni, hanno consentito quindi di accertare – sotto un profilo allo stato gravemente indiziario – che i terreni agricoli coltivati dalle aziende riconducibili agli indagati costituivano il “teatro” di un’attività delinquenziale dedita all’utilizzo di manodopera bracciantile in condizioni di sfruttamento, reclutata da un intermediatore illecito, cioè il “caporale”. I lavoratori a “nero”, tutti migranti di etnia africana, venivano specificatamente impiegati, come accertato dai militari dell’Arma, senza che gli venissero forniti i dispositivi per la prevenzione degli infortuni (guanti, scarpe e abbigliamento ecc.), senza un’adeguata formazione e senza neanche aver predisposto il documento di valutazione dei rischi. Retribuiti con la somma di euro 5 ad ora, a fronte di una giornata lavorativa di 8 ore, senza che gli venisse riconosciuta la retribuzione per il lavoro straordinario e senza neanche la concessione di pause. I lavoratori venivano reclutati, in base alla richiesta contingente di lavoro, da un “caporale”, che si occupava del trasporto e del controllo sui campi, per conto del datore di lavoro/imprenditore, costringendo così la manodopera alle predette condizioni di sfruttamento, facendo appunto leva sul loro stato di bisogno derivante dalle condizioni di vita precarie e della circostanza che essi dimoravano in abitazioni fatiscenti.
Sul luogo di lavoro gli stessi venivano poi trasportati con mezzi in uso al “caporale”, che versavano in pessimo stato di manutenzione, previo pagamento di 5 euro per il trasporto. Il “caporale” li avrebbe poi sottoposti ad un controllo serrato sui campi e avrebbe anche tenuto il conto delle ore di lavoro prestate, controllando la qualità del lavoro e, quando i singoli braccianti non lavoravano bene secondo il suo giudizio, li richiamava. I datori di lavoro, quando volevano risparmiare il costo dell’intermediazione, sempre secondo le contestazioni preliminari degli inquirenti, predisponevano altresì presso la sede della propria azienda dei container in condizioni igienico sanitarie precarie e privi di qualsiasi tipo di servizi. A seguito degli elementi raccolti dagli investigatori dell’Arma, l’A.G. di Foggia, condividendo il quadro gravemente indiziario raccolto, ha richiesto ed ottenuto dal GIP del Tribunale del capoluogo non solo le misure cautelari personali, ma anche il controllo giudiziario di 6 aziende agricole, riconducibili agli indagati, le cui sedi legali insistono nei Comuni di Cerignola, Ortanova e Trinitapoli. Per il “caporale” si sono quindi aperte le porte del carcere di Foggia, mentre per il principale datore di lavoro, che è di Trinitapoli, è stata disposta la misura custodiale degli arresti domiciliari. Per gli altri tre datori di lavoro, residenti tra Cerignola e Ortanova, infine, l’A.G. di Foggia ha disposto l’obbligo di dimora.
In ultima analisi va precisato che la posizione delle persone arrestate o comunque colpite dalle altre misure coercitive è al vaglio dell’Autorità Giudiziaria e che le stesse non possono essere considerate colpevoli sino alla eventuale pronuncia di una sentenza di condanna definitiva.