Ha avuto luogo nel tardo pomeriggio di venerdì 1° luglio, presso la libreria “L’albero dei fichi” a Cerignola, la presentazione del libro «Di padre in figlio-Canto, radici e visioni al crocevia della narrazione» (Ago editore). Protagonisti dell’incontro sono stati gli autori e fratelli Antonio e Mattea Belpiede, che hanno dialogato con Liana Petruzzelli. La particolarità di questa pubblicazione sta nel fatto che è un’opera a sei mani, due delle quali però – quelle da cui ha origine il tutto – sono di un padre, Nicola, scomparso ormai diversi anni fa. A spiegare nel dettaglio a lanotiziaweb.it come ciò sia stato possibile è uno degli altri due autori, Antonio, facendo dei passi indietro: «Tutto ha inizio quando, con mio fratello Vincenzo, accompagnai mio padre alla Humanitas di Rozzano (Milano), clinica specializzata per l’oncologia, il 9 agosto 2006. In quell’occasione ci fu confermato che nostro padre aveva la recidiva di un tumore al colon, per il quale era stato operato cinque anni prima. Quando papà comprese che ‘la belva’ si era ripresentata, ha cominciato a scrivere. Morì esattamente un anno e due giorni dopo, l’11 agosto 2007».
La scrittura diventa, a questo punto, terapia: «In questo anno lui tira fuori tutto, scrivendo. È come se fosse dell’acqua sotterranea che, dopo aver eroso per secoli la roccia, esplode dando origine a una cascata. Così ci ha lasciato documenti preziosi. Parla della sua famiglia sin dagli anni 1928-29, quando aveva 4-5 anni. Parla di Cerignola, aiutato da una memoria prodigiosa, attraverso filastrocche, fatti di Chiesa, canti dei braccianti, aneddoti, personaggi tipici della città, nomignoli e tanto altro. Ci sono inoltre diverse sue poesie e testi in prosa. Abbiamo curato e organizzato questo materiale, dopodiché abbiamo aggiunto scritti miei e di mia sorella. E qui è nata l’idea dei tre autori, dei tre Belpiede, di padre in figlio».
Si giunge quindi all’obiettivo dell’opera, ciò che si spera lasci nel lettore: «La bellezza non ha bisogno di molte presentazioni, da qualunque arte o qualunque ordine delle cose venga fuori. Nostro padre è stato una figura bella, umile, modesta, frugale. Un padre di famiglia fra i tanti, come li definisco, ‘onesti artigiani della democrazia’ che dopo il 1945 si sono rimboccati le maniche e hanno fatto entrare nel G7 un Paese che aveva perso la guerra e veniva dalla dittatura feroce. Viene fuori la bellezza di un uomo onesto – tiene a sottolineare l’autore – che aveva criptato per tutta la vita la sua capacità letteraria. Ho sentito suoi amici di scuola dell’Istituto Agrario che mi hanno detto che era il primo della classe in italiano. Nell’ultimo segmento della vita ha avuto il dono di esprimere in canto queste cose». Un padre da ricordare, con il termine da intendersi come “richiamare al cuore”, e da raccontare, ciò che un tempo rappresentava la consuetudine nel nucleo familiare. In conclusione, chiedendogli di immaginare cosa avrebbe pensato suo padre di questo libro, Antonio Belpiede non risparmia una battuta: «Papà si sarebbe commosso, mi avrebbe detto che abbiamo fatto una cosa bella e che non avremmo dovuto. Mentre lui era il timido della famiglia, io sono invece quello sfacciato».