È emersa da tante piazze d’Europa e con gran forza il “no” alla guerra attualmente in atto in territorio ucraino in seguito all’invasione russa. La richiesta è una: pace. Bene. La netta condanna all’aggressione operata da Putin deve essere totale e non scalfibile dalla critica all’utilità della Nato, dalle connivenze economico-finanziarie tra occidente e Russia, dall’invio di armi da parte di paesi europei ai russi, in primis l’Italia che nel 2015 – come riportato dal quotidiano Domani del 6 marzo – ha rilasciato una autorizzazione per la vendita di 94 blindati Lince alla Russia, per un valore di oltre 25 milioni di euro e che fra gennaio e novembre del 2021 c’è stata un’esportazione di 3 milioni di euro di merci militari sotto embargo verso la Russia. Putin ha commesso un gravissimo errore: la guerra.
Non c’è mai nessun motivo che giustifichi la guerra e abbiamo imparato in questi ultimi decenni a respingere qualsiasi aggettivo posto accanto alla parola guerra: preventiva, giusta, umanitaria. Lo si sentiva da chi postulava la canonizzazione di Gino Strada subito dopo la sua morte o da chi salmodiava i testi di don Tonino Bello dai pulpiti, arricchendo solo il proprio “equipaggiamento intellettuale”, tanto la guerra era lontana, era roba di altri. Va bene la pace, ma “la pace è un cammino” – diceva proprio il pastore pugliese – e non è una conquista data, né magicamente ottenuta, e come ogni cammino esige una direzione e l’unica direzione possibile per la pace è quella disarmata e la direzione presa dall’occidente va nettamente in un’altra direzione, quell’opposta. L’Italia ha deciso – attraverso la quasi unanimità del parlamento – l’invio di “armi letali” (missili antiaereo, mitragliatrici, armi anticarro), contravvenendo alla legge 185 del 1990 che impedisce di mandare armi a un Paese coinvolto in un conflitto, scegliendo chiaramente il ruolo che vuole svolgere in questa terribile situazione, ed è un ruolo militare, non diplomatico. La guerra è stata ritenuta l’unica opzione possibile: nessuna missione congiunta di negoziazione, nessuna proposta di intermediazione, non si è provato ad immaginare nessuna forma di confronto o coinvolgimento delle parti in conflitto, anzi le bandiere ucraine nelle piazze – sotto l’ingenuo intento di manifestare solidarietà al popolo martoriato, avvalla l’idea di supportare una azione armata di parte.
L’invio di armi a sostegno dell’Ucraina è presentato come un’azione di responsabilità o addirittura di “resistenza” verso l’invasore (solleticando corde sensibili al sentimento partigiano italiano) ma non è altro che cancellare irrimediabilmente ogni possibilità di pace, favorendo la guerra. La logica degli schieramenti e delle minacce ci offrono sotto gli occhi il loro risultato: feriti negli ospedali, popolazione civile in fuga, l’inasprirsi delle tensioni e del conflitto che così non si fermerà. Non c’è altra “via per la pace” se non la messa al centro di tre imperativi categorici che dovremmo esigere con forza, emersi anche nella manifestazione dei movimenti nonviolenti a Roma del 5 marzo: Soccorrere-Negoziare-Disarmare…un cammino non semplice, non pieno di ostacoli, non immediatamente raggiungibile, ma l’unico cammino possibile per la pace.