«Quando, vent’anni fa Hyso è stato ammazzato, attorno alla vicenda è calato il silenzio perchè, allora come oggi, si considerano queste cose come l’ordinario. Ma a distanza di molto tempo lo scenario è cambiato. Il fatto che associazioni e cooperative abbiano iniziato ad interessarsi della sua storia e del suo nome ci ha permesso di prendere contatto con i suoi cari e poter fare memoria viva di lui, vittima del caporalato, che è il nostro obiettivo». Con queste parole pronunciate ai microfoni de lanotiziaweb.it, il fondatore e presidente di Libera don Luigi Ciotti, ha spiegato il senso dell’incontro tenutosi ieri pomeriggio a Palazzo Coccia, nel corso del quale si è ripercorsa la memoria personale e della vicenda di Hyso Telharaj, giovane albanese vittima del caporalato che a soli 22 anni venne ammazzato dai suoi aguzzini nelle campagne di Cerignola l’8 settembre 1999. Esattamente vent’anni fa infatti si consumò il fatto di sangue. La colpa di Hyso, che era arrivato in Capitanata con la speranza di guadagnare qualcosa per proseguire gli studi e soprattutto pagare le cure per il padre malato, era stata quella di essersi ribellato ad un suo pari che voleva assurgere a caporale. Il tutto mentre il paese era preso dalla celebrazione della festa patronale, nella quasi totale indifferenza.
Quasi. Perchè a mantenere viva la sua memoria è stata Libera che ha deciso di intitolargli il suo presidio locale e un vino prodotto su un terreno confiscato alla mafia dalla cooperativa “Libera Terra”. Proprio grazie a una di queste bottiglie di vino è stato possibile rintracciare la famiglia di Hyso: «Una ragazza albanese residente in Italia con la sua famiglia partecipando ad un campo estivo di Libera a Mesagne scoprì questo vino – spiega la vicepresidente di Libera Daniela Marcone – rendendosi conto che della storia di Hyso in Albania si sapesse davvero poco. Per questo decise di mettersi sulle tracce della sua famiglia a cui è riuscita a consegnare la bottiglia. Loro credono che laddove muoia una persona, lì resta la sua anima. Ecco perchè ogni volta tornano qui per raccontare la sua storia». Ma Hyso non è solo un simbolo o una storia. Infatti la memoria del suo martirio passa anche dal racconto della persona, un ritratto dipinto nella parole commosse di Ajet Telharaj che con la sorella Suzana è tornato nella terra dove loro fratello visse i suoi ultimi giorni: «Hyso era una persona calorosa, semplice e con la schiena dritta. Era venuto in Italia per una vita migliore. Non avremmo mai immaginato che sarebbe finita in questo modo. A quei tempi vedevamo l’Italia come uno spiraglio di luce che entrava nelle nostre case e non sapevamo che esistesse la piaga della mafia e del caporalato». Il ricordo di Hyso prende vita nell’appello che i suoi fratelli rivolgono ai tanti giovani presenti all’incontro: «Vediamo il volto di nostro fratello in tutti voi che lo ricordate e ci aiutate a cercare giustizia. La mafia e il caporalato si combattono con l’istruzione. Hyso era venuto in Italia per potersi pagare l’università e non ha potuto realizzare il suo sogno. Ecco perchè vi invitiamo a studiare e a non trascurare la cultura».
TRA MEMORIA E REAZIONE. COSA E’ CAMBIATO?
A vent’anni dal grave fatto di cronaca cosa è cambiato nella lotta al caporalato? Sicuramente molta strada è stata fatta grazie alla “Legge Martina” (L.199/2016). Tuttavia secondo il procuratore generale di Foggia Ludovico Vaccaro bisogna fare ulteriori passi in avanti: «Ci sono fenomeni alla base del caporalato come il mancato incontro tra domanda e offerta di lavoro, le aste al doppio ribasso o l’esistenza di ghetti come quelli di Borgo Mezzanone e Tre Titoli che devono essere risolti il prima possibile dallo Stato». Sono queste le parole con cui il magistrato esorta la società civile a compiere un ulteriore sforzo: «C’è qualcosa che possiamo fare tutti insieme, cioè essere consapevoli che dietro a certi prodotti a prezzi molto bassi ci potrebbe essere lo sfruttamento. Ogni prodotto ha un suo costo e dobbiamo esserne consapevoli. Diamo quindi spazio a quella filiera etica che opera anche sul nostro territorio per riportare il sistema al suo equilibrio naturale». «C’è del marcio nella filiera agricola e non solo, ma bisogna saper guardare al buono e ai percorsi virtuosi di questo territorio, come Altereco e Pietra di scarto, che possono realmente sconfiggere il caporalato che è un problema nazionale», gli fa eco in conclusione Don Luigi Ciotti che ha voluto rivolgere il proprio ringraziamento alla famiglia di Hyso: «Se oggi esistono delle leggi che tutelano i lavoratori e provano a tirare fuori da questo inferno chi finisce sotto i caporali è anche merito di vostro fratello che ha avuto la forza ed il coraggio di ribellarsi e dire no, ma è anche merito vostro che mantenete viva la sua memoria».