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    Cerignola e la criminalità: otto rapine in un anno. Il grido di aiuto di una tabaccaia e le risposte (?) delle Istituzioni

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    “In due, armati di mazzuola, mettono a segno una rapina agli uffici postali di via Napoli”. “Cimiteri di auto nel cerignolano, due arresti e un fermo per riciclaggio e ricettazione”. “Rapina, riciclaggio e ricettazione: quattro arresti dei Carabinieri di Cerignola”. “Ripulivano i magazzini del Nord Italia: incastrata banda di cerignolani in trasferta”.

    Un vero e proprio bollettino di guerra quello che si sta registrando in questi giorni. La città di Zingarelli e Di Vittorio riconferma tristemente la sua fama di “Università del crimine”. Spesso, però, si dimentica che dietro l’abusata espressione di “emergenza criminalità” si nascondono volti e storie vere: quelle delle vittime. Perché, quando i giornali restituiscono il quotidiano bollettino delle imprese criminali, l’attenzione è catalizzata dagli autori del crimine; le vittime, invece, sembrano non fare notizia, restano all’ombra del loro dramma. Una di loro, però, non ci sta e ha deciso di affidare al nostro giornale il suo grido di rabbia e di disperazione, nonché un’accorata richiesta di aiuto. La signora Annarita, insieme al marito, e da qualche tempo con la collaborazione del figlio maggiore, gestisce da quasi 28 anni una tabaccheria in Via Vittorio Veneto, nello storico quartiere di S. Antonio. In un anno e mezzo ha subito ben otto rapine. La prima il 27 settembre 2014. L’ultima il 1 marzo scorso. Tutte eseguite con lo stesso meticoloso metodo criminale: in due, o tre, a volto coperto e rigorosamente armati (generalmente di sera), arrivano in moto o in auto e fanno irruzione nella tabaccheria. Uno di loro resta fuori a fare ‘da palo’, mentre gli altri entrano con la forza danneggiando vetrate e suppellettili e, con la minaccia delle armi, fanno razzia di tutto ciò che li passa sotto le mani: incasso della giornata, sigarette e gratta e vinci. Spesso, non contenti, derubano i proprietari anche degli effetti personali: borse, telefoni cellulari, soldi e documenti. Non raramente è accaduto anche che, di fronte alla resistenza delle vittime, non abbiano esitato ad aggredirli con calci e schiaffi. Ogni volta, Annarita e suo marito hanno richiesto l’intervento di Carabinieri e Polizia – sopraggiunti tempestivamente sul posto- e sporto denuncia. Ma questo non sembra aver scoraggiato i malviventi che poche settimane fa hanno messo a segno l’ennesimo colpo ai danni della loro tabaccheria.

    “Avevamo appena chiuso dopo una dura giornata di lavoro – racconta Annarita– quando, nei pressi della nostra auto, due uomini a volto scoperto ci hanno inseguito e aggredito. Uno di questi, con la forza, ha sottratto a mio marito parte dell’incasso giornaliero. Io – prosegue-sebbene avessi subito solo pochi giorni prima un delicato intervento alla spalla, non ho esitato ad avventarmi su quel delinquente. Per fortuna, sono riuscita a metterlo in fuga”. Questa volta, però, i Carabinieri del Nucleo Operativo Radiomobile di Cerignola, allertati, hanno inseguito e tratto in arresto il malvivente, mentre sono ancora in corso le indagini per individuare il complice. “Questo, però, non ci rassicura – confessa -. Ringraziamo le Forze dell’Ordine per il grande lavoro che svolgono tra mille difficoltà e per il supporto che non ci hanno fatto mai mancare. Ma non ci sentiamo al sicuro”. Oltre alle denunce, infatti, Annarita e suo marito, hanno cercato in tutti i modi di difendersi e di rendere la loro tabaccheria più sicura. Questa estate hanno installato due telecamere all’esterno e due all’interno del locale, sostituito la vecchia porta con una blindata ed effettuato altri lavori di messa in sicurezza. Lavori che hanno richiesto ingenti investimenti. Soldi che si aggiungono a quelli persi durante le otto rapine subite. Un danno economico che si aggira almeno intorno ai ventimila euro. Ma nemmeno questo è servito a fermare la lunga catena di aggressioni e atti di sciacallaggio di cui sono vittime da tempo.

    “Oltre al danno economico, è quello psicologico il più grave con cui facciamo i conti tutti i santi giorni -spiega Annarita-. Siamo terrorizzati. Viviamo nella paura di rivivere quegli attimi di terrore che, ormai, conosciamo bene. Siamo esausti e disperati. E’ assurdo che si debba avere paura per andare a lavorare. E la cosa più grave -confessa in lacrime – è che in questa città tutto questo appare normale”. Ma la donna non si arrende, difende a denti stretti il lavoro di una vita e richiama sul dramma che la sua famiglia sta vivendo anche l’attenzione delle Istituzioni locali. “All’indomani dell’ultima rapina -racconta- ho inviato un messaggio su facebook al Sindaco Franco Metta chiedendogli un incontro. Questi mi ha risposto subito mostrando disponibilità ad ascoltarmi e, giorni dopo, con la mediazione dell’Assessore Carlo Dercole, anch’egli messo al corrente della nostra storia, ho ottenuto un appuntamento”. A ricevere Annarita l’11 marzo scorso, però, è il capo di gabinetto dell’Ufficio Staff, Salvatore Amato. “Quel giorno -racconta- il Sindaco era impegnato. Era quella una giornata convulsa, date le dimissioni appena rassegnate dall’Assessore Colucci. E a ricevermi è stato il dott. Amato. Ha ascoltato con pazienza la mia storia, ha espresso la sua vicinanza e mi ha promesso che avrebbe invitato i Vigili Urbani a monitorare più spesso la zona limitrofa alla nostra tabaccheria. Cosa che, ad oggi, non è ancora avvenuta. Ho apprezzato la sua disponibilità – precisa- ma non posso tollerare alcune delle risposte che ho ricevuto”.

    La signora spiega al braccio destro del Sindaco i dettagli dell’ultima rapina subita. Secondo il dottor Amato – racconta Annarita- sarebbe stata la disperazione a spingere quei due uomini a rapinarci, addirittura a volto scoperto. Nessuno, però, immagina la nostra disperazione -sottolinea-. Mio marito è tra tutti, il più provato. Ha paura di andare al lavoro e la disperazione lo sta portando a prendere seriamente in considerazione l’idea di vendere la tabaccheria. Una soluzione che il dott. Amato -riporta- ha invitato anche me a considerare. Con quei soldi -mi ha detto- potremmo essere tutti più tranquilli e io potrei, addirittura iscrivermi all’Università”. E’ rabbia e sdegno quello che si legge nello sguardo e nelle parole di questa donna con cui la vita non è stata generosa. “Tante sono le disgrazie che hanno funestato me e la mia famiglia -confida-. Ho tre figli. Una, gravemente disabile, è affetta dalla Sindrome di Lennox-Gastaut, una grave encefalopatia epilettica che la costringe a vivere in uno stato quasi vegetativo”. Gli altri due figli, studenti universitari, nonostante gli impegni di studio, si prendono cura con amore della sorella, mentre i genitori sono a lavoro. “In una situazione familiare così difficile -confida Annarita- il lavoro è il nostro salvagente. Non solo per il supporto economico. Lavorare ci dà dignità e stare tra la gente allevia le pene che viviamo nelle mura di casa. E’ per me un modo per ricaricare le pile e tornare da mia figlia con il sorriso. Amo il mio lavoro e non voglio rinunciarvi. Vi prego, aiutateci!”.

    Se solo sentissimo le lacrime di Annarita come le nostre; se solo considerassimo come i danni prodotti dalla criminalità riguardino non solo le singole vittime ma l’intero territorio; se solo imparassimo ad essere solidali verso le vittime e non verso i criminali e la smettessimo di giustificare la violenza e il sopruso come ‘figli della crisi’, scatterebbe quel senso di comunità, di orgoglio, di solidarietà che, meglio di qualunque vertice o tavolo istituzionale, aiuterebbe questo lembo di terra ad essere percepito come una città normale, non come una scuola di addestramento per criminali. E se per qualcuno la soluzione al dramma di Annarita e della sua famiglia è vendere la tabaccheria dove per anni ha versato il suo sudore, noi altri crediamo ancora che la soluzione possa e debba essere un’altra.