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    Storie di buona sanità: «dopo 18 mesi riprendo a camminare»

    Le parole della protagonista: «Quella che, dapprima, era solo una sensazione con i mesi si era trasformata in una cruda realtà. Poi due angeli, con la loro profonda professionalità e umanità, mi hanno seguito assiduamente, con costanza, riponendo nella mia ripresa una fiducia che io stessa, in fondo, stavo perdendo»

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    La sanità che fa notizia è quasi sempre quella dei disservizi, degli ospedali sovraffollati, della mala gestio. Questa volta, invece, ci si ritrova di fronte ad una storia a lieto fine, laddove il finale diventa l’inaspettato e felice colpo di teatro. La storia, complicata e densa di ostacoli, di una paziente come tanti, di una persona che – scherzo del destino – è un medico e nella scienza, a cui ha dedicato la sua vita, non riesce a trovare ragione di cosa gli stia accadendo. Comincia tutto nell’agosto del 2022, ma è giusto che a questo punto a parlare siano le parole stesse di chi questa storia l’ha vissuta da protagonista.

    «Nell’estate del ’22, era agosto, sentivo che c’era qualcosa di diverso in me, nel modo in cui la pianta dei miei piedi poggiava a terra, nel modo in cui incastravo un passo dopo l’altro. Quella che, dapprima, era solo una sensazione con i mesi si era trasformata in una cruda realtà: la terra sotto i piedi mi era venuta a mancare, per non usare il termine tecnico di paraplegia. Ci pensate mai a quanto la vita di una persona possa cambiare drasticamente? Io sì e allora, non me lo riuscivo a spiegare. Passavo le giornate ad interrogarmi sui perché e non sul come. Come posso migliorare? Come posso riprendermi ogni ora di questa vita che fugge?» si chiede nella lettera inviata a questa redazione la persona che ha vissuto questo dramma.

    Dopo il buio più profondo della notte deve però, trova spazio l’alba, la rinascita. «Mi sono affidata al Centro Vita, Centro Medico di Riabilitazione eccellente, alle mani di due grandi professionisti, il dottor Matteo Bufano e la dottoressa Michela Maenza. Loro hanno portato in casa quella luce che sembrava persa. Mi hanno seguito assiduamente, con costanza, riponendo nella mia ripresa una fiducia che io stessa, in fondo, stavo perdendo. Hanno avuto sempre una buona parola nei momenti di sconforto e un polso forte quando ero stanca e assuefatta da quello che mi era capitato. Delle volte non basta eseguire perfettamente il proprio lavoro, se si è asettici e sterili. Delle volte serve il cuore, la passione, l’amore per quello che si fa ogni giorno. Questo è ciò che ha reso queste due persone non solo dei grandi professionisti, ma soprattutto degli esseri umani meravigliosamente veri. Li ringrazierò sempre d’essere stati le mie gambe, per tutto questo tempo. Ad oggi, da quell’agosto, sono passati più di diciotto mesi e la vita continua a fuggire, non s’arresta un’ora ed io con lei continuo a non fermarmi, continuo ad andare avanti e riprendo a camminare».

    Indubbiamente storie che fanno bene al cuore, che raccontano, a discapito di un sistema sanitario talvolta mal gestito, l’impegno quotidiano di decine e decine di professionisti che lavorano in campo sanitario interpretando la propria opera innanzitutto come una missione e con gran senso di umanità. Nuovamente la chiosa la lasciamo alle parole della protagonista: «’La vita fugge e non s’arresta un’ora’, recitava una delle poesie del Canzoniere di Francesco Petrarca. Me lo ricordo ancora quel componimento, sarà forse perché non ne avevo compreso a pieno il significato quand’ero una ragazzina? Ricordo anche quanto la mia professoressa d’italiano sottolineasse l’importanza del tempo in Petrarca, il tempo che fugge e il tempo che va. Ho capito il reale significato di queste parole quando una vita, la mia, ha preso una strada tanto nuova quanto inaspettata».

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