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    A Foggia la mafia e la grande fuga dei diciannove

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    Almeno un fiancheggiatore, fuori, con l’auto accesa. A conferma che dal carcere -usando uno dei microtelefonini che ormai sono ovunque nelle prigioni italiane – aveva avvisato di quello che stava per accadere. Un elenco dei fuggitivi che, almeno in un primo momento, aveva fatto saltare sulla sedia gli investigatori: erano scappati i Notarangelo, i Quitadamo. E questo poteva significare una cosa soltanto: che la mafia del Gargano aveva organizzato la grande fuga dal carcere di Foggia. All’alba, però, deve essere accaduto qualcosa. Lo Stato ha risposto in maniera aggressiva: le forze di polizia erano ovunque con il prefetto Raffaele Grassi che seguiva tutte le operazioni. Non c’era grande spazio di trattativa e soprattutto le conseguenze che quell’azione avrebbe potuto avere sono state subito chiare a tutti. Per questo i tre fuggitivi più pericolosi si sono consegnati a San Giovanni Rotondo: due Notarangelo e un Quitadamo. La loro fuga è finita. Ma soltanto la loro. Perché in giro, liberi, restano ancora in 19. C’è Francesco Scirpoli, detto “Il lungo”. Le indagini lo raccontano come un esperto delle rapine ai porta valori. Le fotografie – distinto, in camicia celeste a collo alto e maglione azzurro, anche nelle foto segnaletiche – come un pesce in grado di nuotare anche bene nel mare di mezzo, quello dei contatti con l’imprenditoria e la politica (non a caso il suo nome è più volte citato nella relazione del ministero dell’Interno che ha portato allo scioglimento per infiltrazioni mafiose del comune di Mattinata). Scirpoli è sempre stato molto vicino ai Quitdamo e, prima ancora, a Mario Luciano Romito, il boss ammazzato nell’agosto del 2017 nella strage di San Marco in Lamis.

    Al momento irreperibile è anche Cristoforo Aghilar, che non è un uomo dei clan. Ma è forse quello di cui oggi gli investigatori hanno più paura. Non a caso sono state immediatamente mette sotto sorveglianza sia l’ex fidanzata sia il magistrato che si è occupato delle indagini che lo hanno portato in galera. Aghilar ha ucciso nell’ottobre scorso la sua ex suocera, Filomena Bruno. La donna non voleva che avesse una relazione con sua figlia di 21 anni. Aghilar era un violento, aveva più volte picchiato la ragazza e minacciato anche la signora Filomena prima di ucciderla. Ora è in fuga, come un lupo solitario. A ottobre era stato arrestato in un Comune della provincia, dove si era rifugiato a casa di alcuni parenti. Erano stati però proprio loro a denunciarlo ai Carabinieri e farlo arrestare.

    Tra gli evasi c’è anche Ivan Caldarola, il ragazzo terribile della mafia barese. Caldarola è figlio di Lorenzo, boss del quartiere Libertà di Bari, uno dei centri della criminalità organizzata del capoluogo. È vicino al clan degli Strisciuglio che in queste ore hanno provato a organizzare una rivolta nel carcere di Bari, bloccata – dopo però la devastazione di un pezzo della struttura – soltanto grazie a un intervento velocissimo della direzione del carcere e della Penitenziaria. Caldarola è considerato dalla Dda uno degli elementi più pericolosi delle nuove leve della criminalità barese: sua madre è imputata per aver aggredito la giornalista del Tg1, Maria Grazia Mazzola. Suo fratello, Francesco, è in carcere con l’accusa di aver ucciso un ragazzo albanese innocente, Florian Mesuti, nella piazza del quartiere. Mesuti ha pagato con la vita l’aver “violato”, inconsapevolmente, il codice del clan. Dimostrando soltanto educazione civica. Era intervenuto per sedare una rissa, in piazza, tra due ragazzini di 15 anni. Uno era Ivan Caldarola. Il detenuto in fuga.

    Giuliano Foschini
    La Repubblica

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