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    “Se questi sono gli uomini”, il giornalista Riccardo Iacona ha presentato il suo libro a Cerignola

    L’incontro con il noto giornalista Rai è rientrato nell’ambito delle iniziative che l’Amministrazione Comunale ha posto in essere, durante il mese di novembre, per l’educazione e al contrasto della violenza sulle donne

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    104. È il numero da cui parte il dibattito, che assume contorni spaventosi poiché indica le donne uccise in Italia nel 2022. Una tragedia nazionale, il bilancio di una guerra che inizia nel luogo apparentemente più impensabile ed assurdo, la famiglia, prima di finire sui media. A farsi carico di un’inchiesta su un raccapricciante fenomeno che dovrebbe essere in cima all’agenda politica nazionale è stato Riccardo Iacona, il noto giornalista Rai conduttore del programma di approfondimento “Presa diretta”, autore del libro «Se questi sono gli uomini-La strage delle donne» (Chiarelettere, 2012), il cui titolo è un evidente richiamo a Primo Levi. Iacona ha attraversato il Paese inseguendo le storie di maltrattamenti e femminicidi, dando voce a chi le violenze le ha subite ma riportando anche le parole di chi se n’è macchiato. Ne vien fuori un quadro assai inquietante, con decine di casi di violenza silenziosa e quotidiana che si consumano nelle nostre case. E spesso i casi estremi rappresentano la punta dell’iceberg di un fenomeno di violenza ben più radicato.

    Riccardo Iacona ne ha discusso nella serata di sabato 26 novembre a Cerignola, nella sala conferenze di Palazzo di Città, in un incontro tenuto con l’Assessora alla Cultura, Pubblica Istruzione e Sport, Rossella Bruno, e con il giornalista Giovanni Soldano. La serata è rientrata nell’ambito delle iniziative che l’Amministrazione Comunale ha messo in campo con scuole, associazioni e la città tutta – durante il mese di novembre, con l’evento “Parliamone” – volte all’educazione ed al contrasto della violenza sulle donne. Anche Cerignola ha visto versare il sangue di vittime innocenti negli anni scorsi: il ricordo va a Titina Cioffi, assassinata a dicembre del 2013 (e alla cui memoria il locale Centro AntiViolenza è intitolato), e a Nunzia Compierchio, a cui la vita è stata strappata a luglio di due anni fa. Dal 2012, anno in cui il libro è uscito, ad oggi sono cambiate un po’ di cose, come ha testimoniato Riccardo Iacona a lanotiziaweb.it: «Da allora c’è stata una presa di coscienza. Queste vicende sono state tolte dalle storie di cronaca ed hanno acquisito quello spessore politico che meritano, perché segnalano la presenza di un’apartheid in Italia. La politica se n’è resa conto, sono state fatte delle leggi, abbiamo firmato la Convenzione di Istanbul (trattato internazionale del 2011, introdotto per prevenire e contrastare la violenza contro le donne e la violenza domestica, che l’Italia ha sottoscritto il 27 settembre 2012, ndr). Anche l’opinione pubblica se n’è resa conto, anche i nostri giornalisti ne parlano un po’ meglio. Ma dal punto di vista dei numeri la violenza è sempre la stessa, spesso aumenta. Bisogna quindi interrogarsi su cosa non stia funzionando nel contrasto a questa che è non solo una violenza di genere, ma segnala una difficoltà vera del Paese. Proprio cercando di capire cosa c’è alla base di questa piramide di violenza si riesce, forse, ad individuare quali sono gli strumenti da mettere in campo perché questo fenomeno diminuisca ogni anno che passa».

    In quello che è un fenomeno già spaventoso, inquieta ulteriormente l’età media giovane delle vittime e dei carnefici: «Questo segnala che non c’è più un tabù, che non sono episodi di degrado, come spesso venivano raccontati, da contestualizzare in periferie del Paese, o periferie culturali, di poveracci o di gente disperata. No. Ci siamo tutti dentro, persino i nostri giovani. Sono fenomeni trasversali, che avvengono in tutti gli ambienti sociali tra Nord, Centro e Sud. Ci dicono che la violenza nei confronti delle donne è qualcosa di strutturale nel nostro Paese. Per questo non parlo di emergenza, ma di fenomeno endemico, perché con questo termine voglio dire a tutti quanti che abbiamo un problema strutturale: o lo prendiamo per quello che è o altrimenti sono pannicelli caldi». Come fatto intendere in precedenza, Iacona non risparmia critiche anche alla sua categoria, quella dell’informazione: «Soprattutto perché non si riconosceva in questo fenomeno quello che interessa a tutti noi. Di queste storie si raccontava solo il lato personale: cronache di gelosia, “l’amava così tanto che alla fine l’ha uccisa”, storie d’amore andate male. No, non sono storie d’amore andate male. Peraltro la cronaca di questi episodi ci dice proprio il contrario, perché nella stragrande maggioranza queste donne vengono uccise quando queste storie d’amore sono terminate e da parecchio tempo. La storia d’amore andata male è l’alibi pazzesco con cui la società copre le sue responsabilità e salva gli uomini. Sono delitti efferati, intenzionali, molto preparati, che servono a segnalare al mondo intero che la donna, quando vuole essere libera, deve essere punita. E da questo punto di vista sono omicidi di stampo mafioso, hanno la stessa tecnica: bisogna uccidere una donna, in maniera plateale, davanti ai posti di lavoro, davanti ai parenti, spesso purtroppo davanti ai figli, senza alcuna remora, in maniera feroce, terribile. Succede perché tutti devono capire, tutti devono sapere che quella donna ha sbagliato e che le altre donne non devono sbagliare».

    In conclusione, l’autore allarga la sua analisi su quella che è la condizione attuale della donna nella società italiana: «La violenza è solo uno dei colori dell’apartheid in Italia. Il resto, tutti i valori che hanno a che fare con la differenza di genere, come l’occupazione femminile, la fatica che si fa fare alle donne italiane quando fanno dei figli, il fatto che non guadagnino lo stesso degli uomini, che le donne non occupino mai posizioni apicali, sono colori di un’apartheid che disegnano un Paese arretrato. Abbiamo solo adesso il primo Presidente del Consiglio donna, ma i posti di responsabilità nell’economia, nella politica, nell’informazione, nella società sono tutti in mano agli uomini. È come se ci presentassimo alla gara del mondo giocando con solo una gamba. L’altra gamba, che teniamo sottomessa e a cui non diamo libertà, è invece quella che ci farebbe vincere la partita».

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