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    Foibe…revisionisti all’attacco

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    Il ricordo delle Foibe 10 febbraio, “Giorno del ricordo”…delle Foibe. Anche Cerignola, nelle parole del consigliere comunale Gianvito Casarella, presidente della Commissione Cultura, si accoda nel sempre più folto e rumoroso sciame che da anni ormai ha trasformato il ricordo delle foibe in una battaglia di civiltà e giustizia storica. «Siamo certi che nelle aule non sfuggirà, oggi e nei giorni a seguire, la trattazione della vicenda dello sterminio di 350mila Italiani in Istria, Fiume e Dalmazia, fra il 1943 ed il 1945 – incalza Casarella in una lettera indirizzata ai dirigenti scolastici –. Precisarlo in tutte le scuole è obbligo di legge, la 92 del 30 marzo 2004. Non ci arrendiamo perché siamo certi che si tratti di una complicata ma necessaria opera di revisionismo storico che con gli anni non può mancare». L’occasione è buona per cercare di fare un po’ di chiarezza. O quantomeno di offrire un punto di vista altro (e ormai minoritario) su una vicenda storica che, spesso a braccetto con la retorica dei “ragazzi di Salò”, si sta tentando spudoratamente di riscrivere. Le foibe sono esistite. Sono state delle caverne tipiche del Venezia-Giulia, della Dalmazia e dell’Istria, all’interno delle quali, verso la fine della II guerra mondiale, venivano gettati i corpi degli italiani e dei fascisti ammazzati dai partigiani comunisti iugoslavi del generale Tito. Una pagina dura e violenta della storia anche nazionale che è giusto ricordare. Ma soprattutto contestualizzare.
    La storia non mente E’ tecnicamente e storicamente sbagliato parlare di “eccidi”. Non c’è nessun numero ufficiale ma neanche nessuna fonte storica anche lontanamente verosimile che sia stata capace di quantificare il numero delle vittime infoibate. Dove Casarella abbia preso quel numero dei 350 mila non è dato ai più sapere. Ma non è la “conta dei morti” a fare la differenza. La vita umana è talmente sacra che anche se si consolidasse, dal punto di vista storico, la “ristrettezza numerica” del fenomeno foibe, questo non giustificherebbe il ridimensionamento del suo ricordo. Certo, però, che anche soltanto l’accostamento con il fenomeno della “Shoah” o dei “gulag”, che pure si è maldestramente tentato di fare da più parti, è assolutamente fuori luogo. La volontà di sterminio di un popolo (nel primo caso) e degli oppositori politici (nel secondo caso) sono sì quelli sussumibili sotto la definizione di “eccidi”, e dal punto di vista numerico e dal punto di vista simbolico. Ma soprattutto è il contesto in cui sono avvenuti gli assassinii al confine slavo a dare un connotato diverso agli eventi. Non c’è stata nessuna pulizia etnica, nessuno sterminio di massa scientificamente pensato e voluto (come cerca di dimostrare la storica iugoslava Alessandra Kersevan, autrice di Foibe. Revisionismo di Stato e amnesie della Repubblica, Kappa Vu editore). Nella maggior parte dei casi gli infoibati erano italiani e fascisti ammazzati dopo che per anni il nostro Paese aveva provato a “fascistizzare” i Balcani. Una “italianizzazione” forzata portata avanti con violenze, angherie e brutalità che la popolazione slava è stata costretta a subire. Chi oggi agita la bandiera delle foibe perché in cerca di una rivalsa politica, di un “pareggio dei conti con l’altra parte” volutamente noncurante dei fatti, dovrebbe sempre tenere a mente che le foibe sono l’ennesima e tragica conseguenza di un nefasto regime, quello fascista, che così si esprimeva nelle parole del suo capo, Benito Mussolini: «Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. […] I confini dell’Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e Dinariche; io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani» (Benito Mussolini, discorso tenuto a Pola il 24 settembre 1920).
    Revisionismi di casa nostra Le foibe non sono state altro che atti di rappresaglia, esecuzioni sommarie da parte di una popolazione vessata nei confronti di quelli che erano occupanti. Violenza e sangue raccapriccianti, certo. Ma è il carico di distruzione e di brutalizzazione che la guerra inevitabilmente porta con sé. Non voler vedere questa verità è operazione di bieco opportunismo politico. E’ la logica di chi, come Gianpaolo Pansa, vuole ridefinire quella che è stata una “guerra di Liberazione” come una “guerra civile”. Magari perché i partigiani (italiani e iugoslavi) si sono macchiati di qualche efferatezza, anche a “bocce ferme”. E’ successo. Va ricordato. Ma compito della storia è poi quello di recuperare il senso degli eventi, non sacrificare il contesto generale sull’altare del singolo evento. Quello lo fa la cronaca, il compito della storia è ben più alto. L’alternativa è cercare di creare artatamente una “memoria condivisa”, una melassa indistinta dove il torto e la ragione, che pure esistono, lasciano spazio alla logica della convenienza, alla reciproca legittimazione che si nutre di ignoranza e si compiace nel qualunquismo. La memoria non è una merce contrattabile al mercato del ribasso, dove se tu rinunci a ricordare un errore della mia parte politica io posso fare lo stesso nei confronti della tua parte politica. La storia, almeno quella, non conosce compromessi.