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    Italia a Ferragosto: le speranze d’estate e la tela di Penelope

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    E’ Ferragosto, da sempre tempo di riposo e di svago, ma quest’anno è diverso. Il mood non è più quello depresso dell’estate precedente. Dopo anni durissimi che hanno falcidiato redditi e posti di lavoro, gli italiani tornano finalmente in vacanza: secondo le rilevazioni della Federalberghi quest’anno ci va almeno un italiano su due, un esercito di oltre 30 milioni di vacanzieri, in aumento dell’8,6% rispetto al 2014. Anche i segnali che vengono della congiuntura economica segnalano che, pur con tutti i limiti di una crisi epocale non ancora finita, la ripresa, pur gracile e in ritardo sui partner europei, è più forte delle statistiche e autorizza qualche speranza sulla sua solidità e sui suoi effetti sui posti di lavoro, anche se lo stato del Mezzogiorno, pur essendo a macchia di leopardo, grida vendetta. L’ultimo Bollettino della Banca d’Italia ci ricorda che l’attività economica prosegue la sua graduale ripresa e che nel prossimo biennio potrà essere più elevata “grazie a una ripresa degli investimenti, tornati ad aumentare dagli inizi dell’anno” e che dall’inizio del 2015 “è aumentata significativamente la quota di assunzioni con contratto a tempo indeterminato” (+252mila negli ultimi sei mesi).

    Non è certamente tutto rosa, ma lo stellone internazionale, al netto delle turbolenze cinesi che avranno qualche effetto anche sul nostro export già penalizzato dalle sanzioni russe, ci sta dando una mano: il petrolio è sotto i 50 dollari a barile, l’euro si è notevolmente svalutato sul dollaro e la liquidità che il Quantitative easing di Mario Draghi assicura alle banche è abbondante e promette di continuare. Ma qualche merito, per una volta, ce l’ha anche l’Italia: le riforme del governo Renzi – a partire dal Jobs Act e quella delle banche popolari, senza scordare la prima parte delle riforme istituzionali – cominciano a produrre qualche effetto – sia sul mercato del lavoro che sul sistema bancario – ma soprattutto alimentano una nuova fiducia degli investitori internazionali nel nostro Paese. Se poi dovesse davvero arrivare il taglio delle tasse promesso, anche i consumi si risveglieranno. A ben vedere, ci sarebbero tutte le ragioni per festeggiare i primi passi avanti compiuti nell’ultimo anno e per alimentare la speranza di ulteriori miglioramenti se non abbasseremo colpevolmente la guardia e non ci illuderemo che i compiti a casa – cioè le riforme – siano finiti.

    Ma c’è un tarlo che rischia di guastare la festa sul nascere ed è l’inesauribile autolesionismo di cui noi italiani siamo maestri. Quando siamo sull’orlo del precipizio, siamo bravissimi a scampare i pericoli, ma quando le cose cominciano ad aggiustarsi siamo altrettanto eccezionali nel rovinarci la vita. La battaglia che si preannuncia a settembre sulla riforma del Senato con l’assalto della minoranza Pd alla premiership di Renzi – perché, al netto del merito e al di là delle ipocrisie, di questo si tratta – è emblematica dei danni che il peggiorismo italico può fare. Eccentrici noi italiani lo siamo sempre stati, ma non s’è mai visto che la minoranza di un partito lavori per far cadere il Governo guidato dal suo segretario. Questo sì che è un unicum, che entrerà nei libri di storia e nelle antologie politologiche come autentico caso di scuola. Possibilmente da non imitare. Sarebbe curioso fare un sondaggio sulle spiagge o nelle località montane per sapere quanti italiani considerano l’elezione diretta o semidiretta dei senatori come la battaglia della vita e quanti invece pensano che l’inutile duplicazione delle Camere sia un’anomalia istituzionale che da troppo tempo attende di essere cancellata. La riforma Senato, proposta dal governo Renzi, può piacere o non piacere, ma si abbia almeno il buon gusto di risparmiarci la favoletta della democrazia mutilata, su cui il Presidente emerito Giorgio Napolitano si è già espresso in modo impareggiabile con il suo invito a “non disfare la tela di Penelope”. E poi non si faccia finta di dimenticare due verità inconfutabili.

    In primo luogo non scordiamoci che la riforma del Senato proposta da Renzi è stata approvata così com’è per ben due volte – una alla Camera e l’altra al Senato – e che la prassi parlamentare consente anche in terza lettura di apportare modifiche e miglioramenti al testo ma esclude che si possano ritoccare le parti della riforma costituzionale in discussione (come ad esempio l’elezione diretta dei senatori, che è già stata bocciata due volte) che sono state già approvate da entrambi i rami del Parlamento. Il secondo punto incontrovertibile è la conseguenza del primo: rimettere mano agli elementi basilari della riforma non significa affatto migliorarla ma – più sinceramente – smontarla, ripartire da zero e far sapere a tutto il mondo che ci guarda che finora abbiamo scherzato. Si può capire che la minoranza del Pd e i suoi improbabili condottieri alla Miguel Gotor, che su questo giocano la battaglia della vita, se ne infischino dell’immagine dell’Italia ma gli intrighi di palazzo, le imboscate parlamentari e la triste filosofia del “tanto peggio, tanto meglio” non sono esattamente le priorità degli italiani e non li aiuteranno di sicuro a stare meglio. Anche perché, come ha fatto notare qualche giorno fa una giornalista raffinata del livello di Marcelle Padovani, compagna di una vita di Bruno Trentin, se cade Renzi “impazziranno i populismi”, come le miserabili convergenze anti-migranti di Grillo e Salvini già testimoniano. Però è Ferragosto, suvvia godiamoci qualche giorno di riposo e accantoniamo per un po’ i disegni surreali di chi è sempre e comunque contro ogni rinnovamento. Buone vacanze e buon Ferragosto a tutti i lettori.

    Tratto da firstonline.info – 15 agosto 2015

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